“In quel loco fu’ io Pietro Damiano”. C’è un sito, a Faenza, in cui davvero fu Pier Damiani. Ed è questo che ha visto, la notte tra il 21 ed il 22 febbraio 1072, il suo ritorno alla casa del Padre Celeste. Nelle pagine della Commedia Dante dedica quasi interamente il canto XXI proprio a colui che morì a Faenza in quei giorni di febbraio. Dante, giunto nel cielo di Saturno, guardando le anime che salgono una scala dorata, viene stupito da uno spirito che gli si para davanti. Beatrice consente al fiorentino di parlare con quest’anima: i temi trattati sono la predestinazione (che nel ‘500 sarà uno dei punti di rottura tra Roma e Lutero!), ma anche una dura invettiva contro il lusso degli uomini di Chiesa. Ed ecco, si manifesta Pier Damiani (1007-1072). Ma chi era questa anima pia? Possiamo servirci nell’impresa di alcune immagini per riscoprire la vita del santo, e per vederle dovremo andare proprio a Santa Maria Vecchia, nella cappella dedicata a Pier Damiani dove, secondo alcuni studi, il santo morì. Guardando gli inserti in finto marmo, partendo dalla parete destra, la prima storia: “Ancora fanciullo, trovata una moneta, la consegna a un prete affinché celebri una messa in suffragio del padre”. Egli orfano, cresciuto dal fratello Damiano (da qui il “genitivo”), visse di carità e, da povero pastore di porci, diede anche quello che trovava a gloria delle anime dei genitori. E già questo ce la dice lunga sulla sua condotta di vita e di spirito.
La seconda formella invece riprende la sua monacazione a Fonte Avellana. Era probabilmente il 1035. Egli, dopo aver studiato proprio a Faenza era divenuto un rinomato maestro di arti liberali a Ravenna. Da questa esperienza – e da un segno premonitore – maturò la sua vocazione di diventare monaco, a Fonte Avellana. Ma la sua cultura e la sua formazione non potevano essere trattenute da un piccolo monastero. Erano destinate a permeare la cristianità tutta. Ed ecco la formella centrale, dove viene raffigurato il rito della consacrazione a vescovo. Tra il 1057 ed l 1058 venne nominato infatti cardinale e vescovo di Ostia, cioè uno dei sette cardinali vescovi, vero e proprio consigliere del Papa. Ed in virtù di questo suo ruolo non smetterà mai di richiamare all’ordine il clero: il Liber Gomorrhianus, ad esempio, si scaglia contro la sodomia del clero. Il Liber Gratissimus invece si oppone alla simonia, ovvero alla vendita delle cariche ecclesiastiche in cambio di moneta sonante (o altro!). E proprio della sua lotta alla simonia parla la quarta formella. Infatti Pier Damiani fu inviato a Milano nel 1059 insieme al futuro papa Alessandro II a combattere chi affermava che le ordinazioni di vescovi simoniaci erano invalide. Una questione di lana caprina, sembrerebbe. No: è una questione grave, perché avrebbe messo in discussione l’intera gerarchia, i rapporti tra la Chiesa e l’Impero, ma soprattutto Dio. Infatti Dio, per Pier Damiani, agisce “ex opere operato”, cioè a prescindere dal peccato del ministro che officia il sacramento. Queste lunghe lotte, di cui la formella del sinodo Milanese è solo un accenno, lo portarono qui, a Faenza. Dopo un soggiorno a Ravenna per ristabilire i rapporti con l’arcivescovo Enrico, che si era schierato a favore dell’antipapa Clemente III, e prima di raggiungere Gamogna Pier Damiani cercò la sosta proprio qui a Faenza. Ma fu una sosta eterna, nell’attesa di giungere al Paradiso, dove illuminò Dante sulle sublimità teologiche e sulle bassezze romane.
Mattia Randi e Alex Bertozzi
Progetto a cura dell’associazione culturale Acsè
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