Rallentare il corso dell’acqua a monte, per evitare così disastri in pianura. Il modo per farlo? Esiste già. Una serie di dighe – da Marradi fino a Errano, passando per San Cassiano – molte delle quali andate in disuso negli ultimi anni. È questa la proposta che arriva da uno studio di fattibilità per il fiume Lamone realizzato dall’imprenditore edile Giuseppe Giraldi in collaborazione con l’architetto Davide Rava.
“Il problema nasce a monte: bisogna controllare la velocità dell’acqua da subito”

Lo studio sul bacino idrografico del Lamone è stato sviluppato prima di maggio 2023, nel periodo tra dicembre 2021 e aprile 2022, e propone una soluzione per far fronte a eventi alluvionali come quelli avvenuti negli ultimi 16 mesi, senza fare ricorso a grandi opere di lungo periodo. «Il problema nasce letteralmente a monte, a Marradi, e non a Traversara, quando ormai il danno è fatto – spiega Giraldi -. Se si verificano forti precipitazioni dobbiamo riuscire fin da subito a controllare e ridurre la velocità dell’acqua lungo i corsi dei fiumi, e lo possiamo fare attraverso un sistema efficace di dighe e briglie di rallentamento, con attenzione non solo al Lamone, ma anche ai torrenti e rii affluenti. Il Lamone raccoglie tutta l’acqua che arriva dalle vallate di Lozzole, Valnera, Boesimo: un’area vastissima. Se si rallenta fin da subito il corso dei torrenti, riusciremo a controllare meglio la piena dei fiumi».
Con il sistema di dighe e briglie, la piena arriverebbe a Faenza in 12 o 18 ore
L’idea dello studio parte dall’esperienza concreta. «Quando ero un ragazzino si andava spesso a giocare al fiume – ricorda Giraldi -. Dopo forti piogge, all’epoca le piene arrivavano dopo 24 ore, mentre oggi impiegano pochissimo tempo. Con le ultime alluvioni, in sei ore tutta l’acqua raccolta a Marradi è arrivata giù a Faenza». Attraverso il sistema di dighe e briglie, la piena arriverebbe a Faenza in 12 o 18 ore, anziché in sei, e a una velocità ridotta a 30 chilometri orari. «In questo modo – suggerisce Giraldi – non si va a sovrapporre la piena del Lamone con quella di Marzeno, che ha creato i danni maggiori per Faenza». Quali le infrastrutture per realizzare questo? In realtà poche, perché sono già presenti in vallata: dalla diga di Marradi alle briglie lungo il rio Corneto. Eppure negli ultimi 40 anni questa struttura è stata abbandonata a se stessa, con dighe non svuotate, piene di ghiaia e briglie in disuso. All’epoca della loro costruzione, era chiara la loro importanza e ora si ha la sensazione di trovarsi di fronte a un film già visto. «Come riportano testimonianze di allora – specifica Giraldi – verso la fine degli anni ’50 il Consorzio di Bonifica di Brisighella e Faenza, che operava nella nostra zona, costruì una moltitudine di briglie su torrenti e fiumi per contenere l’irruenza delle piene che, annualmente, allagavano i terreni coltivati della bassa Romagna. A questo scopo fu pure predisposto un progetto per costruire una briglia sul pozzo dell’Annunziata a Marradi». Ultimamente la diga di Marradi è piena in attesa di svuotamento, ma è scendendo a valle che iniziano i problemi maggiori. A San Martino in Gattara esiste una diga completamente piena di materiale inerte, «quindi l’acqua anziché rallentare, scivola via con più velocità» dice Giraldi. Subito dopo questa, sul Lamone, arriva il rio Valnera dove sono presenti quattro briglie di rallentamento piene e non vuotate da 45 anni. «In zona Celserato, prima di San Cassiano, c’è poi la diga più imponente – specifica – ma anche questa è piena dagli anni ’80 e non è efficace». E proseguendo, la situazione è la stessa: dighe piene e non vuotate. Dopo anni di “abbandono”, il tema ora deve essere affrontata dagli organi preposti. «Al netto delle responsabilità dei vari enti – suggerisce Giraldi -, penso che si debba smettere di farsi la guerra e lavorare insieme». La proposta dello studio è chiara. «Da monte a valle, ogni 5-6 chilometri l’acqua va rallentata. Occorre lo svuotamento totale di tutte le dighe esistenti e il ripristino delle briglie delle vallate laterali, con una manutenzione periodica – conclude -. Nell’area di San Cassiano, dove il dislivello cresce di circa 150 metri, servono almeno due dighe di contenimento, che lavorino come bacini di laminazione. Si tratta di opere realizzabili e non particolarmente impattanti». Dopo essere stato presentato in consiglio comunale dal gruppo Siamo Brisighella, l’obiettivo è ora presentare lo studio alla Regione per far sì che venga approfondito. Per il bene della valle e della collina: tutto è connesso.
Samuele Marchi