Lunedì scorso, 27 marzo, a 84 anni, Gianni Minà ha spento per sempre il suo microfono. In un momento nella mia vita, diversi anni fa, ho avuto l’opportunità di incontrarlo, poi sfumata. Allora lavoravo alla Cassa Rurale di Faenza (oggi diventata La Bcc ravennate, forlivese e imolese). In quegli anni la banca era lo sponsor principale della squadra femminile di pallavolo di Faenza, che disputò alcuni campionati in A1 e, al termine della stagione, organizzavamo la Festa dello sport. Tramite alcuni amici comuni, ipotizzammo un invito a Gianni Minà per essere l’ospite d’onore della Festa del 1987: eravamo all’hotel Olimpia di Imola. Poi, per impegni sopraggiunti, non si poté concretizzare la sua presenza: la serata venne condotta da Nino Benvenuti e Michele Maffei (entrambi ori olimpici: pugilato e scherma). Ricordo ancora la loro semplicità, la loro disponibilità: davvero due persone squisite.
Dopo la morte di Gianni Minà sui social network è di nuovo circolata molto una sua foto in compagnia di Muhammad Ali, Robert De Niro, Sergio Leone e Gabriel García Márquez. Venne scattata durante una cena informale, a Roma. Ali, pugile e personaggio leggendario, era lì per partecipare a una trasmissione di Minà, Blitz, sicuramente innovativa per la televisione di allora. Gli altri erano vecchie conoscenze della sua lunga carriera da giornalista, attirati dall’ospite illustre. Nel racconto di Minà tutto fu organizzato in poche ore, aggiungendo un commensale ogni volta che uno di loro chiamava per autoinvitarsi. La foto è emblematica dei rapporti che Gianni Minà seppe costruirsi negli anni della sua carriera da giornalista, appassionato ai fatti e alle persone.
Gli incontri ufficiali erano occasioni per instaurare relazioni durature che gli hanno permesso di approfondire la conoscenza di grandi personaggi non solo dello sport e dello spettacolo, ma anche della politica e della storia, soprattutto latinoamericana. Una delle sue classiche frasi d’esordio, prima di raccontare un aneddoto o una confidenza, è stata poi citata e ripresa varie volte: «Eravamo io, Fidel Castro, Diego Armando Maradona, Teofilo Stevenson…».
Minà realizzò per la Rai programmi che sarebbero diventati un pezzo di storia della televisione italiana, proprio per la sua capacità di includere personaggi di spessore, portarli davanti alle telecamere per raccontarsi in un rapporto che appariva personale, confidenziale, che sapeva andare al cuore delle persone e degli avvenimenti.
Per anni ci si è chiesti quale fosse il suo segreto, cosa lo portasse a ottenere un accesso così diretto alle celebrità. Minà era particolarmente abile nel costruire relazioni basate sul rispetto e sulla curiosità, sceglieva i personaggi di cui amava occuparsi e poi li accompagnava anche nei momenti più complessi della loro carriera, durante i quali sapeva porsi con garbo e in maniera non intrusiva. Giornalisti, ma soprattutto uomini, così appassionati alla relazione con il buono che è dentro di noi (che necessariamente convive con i lati oscuri di ognuno) sono il sale della vita e della capacità di costruire comunità tra le persone.
Tiziano Conti