Che bello vedere i nostri ragazzi e ragazze finalmente sorridere assieme. Troppe volte in quest’anno e mezzo di pandemia le loro esigenze sono state disumanizzate. Nel dibattito pubblico è stato evidente. Non c’era più Marco, 8 anni che da grande vuole fare l’astronauta, ma un semplice “diffusore asintomatico del virus”. E Giada, 11 anni, appassionata di disegno, non ha praticamente mai visto i suoi nuovi compagni di classe se non davanti a uno schermo. Abbiamo addossato su di loro le colpe dei contagi in aumento, mentre invece era il mondo gestito dagli adulti a essere malato nelle sue tante crisi.

Era giusto donare loro qualcosa di diverso, con una responsabilità maggiore rispetto altri anni, tanto nelle norme di sicurezza, ma ancor più per la posta educativa in gioco. Precisiamo: i campi estivi non hanno rappresentato una fuga dalla pandemia. Arrivare sulla cima del monte, trascorrere una settimana in servizio in uno stabilimento balneare per persone con disabilità, pregare assieme sulle orme di san Paolo non significa estraniarsi dal mondo in una villa privilegiata. Un campo estivo, al contrario, porta a tuffarti nel mondo. Impari cose nuove, ti scontri con i tuoi limiti, stringi nuove amicizie. Condividi esperienze che conserverai nel cuore, affronti sfide che mai avresti affrontato nella quotidianità: dai più piccoli che per la prima volta stanno una settimana senza genitori ai più grandi che partono solo con uno zaino e una tenda.

Ogni campo ha però anche il suo post-campo, non meno importante. Di solito si scende dal pullman sotto un caldo infernale, si torna a casa salutando a malapena i genitori per la stanchezza e si dormono le successive 20 ore. Poi, riprese le forze, la sfida più difficile diventa questa: mettere subito in pratica quello che si è imparato. Non tra un mese, non tra una settimana, ma oggi, subito. Contaminare la vita di ogni giorno con tutte le esperienze straordinarie che ci hanno fatto crescere. E tra venti o trent’anni, quando Marco e Giada, 8 e 11 anni, riguarderanno queste foto, penseranno che «sì, la pandemia è stata tremendamente difficile, ma non ha spezzato i nostri sogni». I loro sorrisi, e quelli degli altri bambini e ragazzi, lo dimostrano. E al loro fianco c’erano i nostri sacerdoti, educatori e capi scout che si sono assunti la responsabilità di accompagnarli in questa realtà così difficile, ma bella. Grazie a loro, nemmeno un giorno di questa pandemia è andato sprecato.

Samuele Marchi

Alcune foto arrivate alla redazione

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