Un piano c’è. Non definitivo, dai tempi di attuazione lunghissimi, e con previsioni di spesa astronomiche. Ma la strategia per il post alluvione è tracciata. L’Autorità di Bacino distrettuale del fiume Po ha pubblicato pochi mesi fa il Piano speciale sul dissesto idrogeologico che ha l’obiettivo di mettere il territorio in condizioni di fronteggiare eventi meteorologici estremi come quelli dell’alluvione del maggio 2023. Si tratta di un documento complesso, spiega Andrea Colombo, dirigente dell’Autorità di Bacino (adbPo) coordinatore della redazione del piano, che ha visto lavorare insieme, oltre all’AdbPo, due università, UniBo e UniMore, la Regione, Atersir, i Carabinieri forestali, e tutte le amministrazioni, riunite in Upi e Anci. Per ora c’è il piano preliminare, ma a breve la Struttura commissariale del generale Figliuolo dovrebbe dare il via libera alla versione definitiva, che ricalcherà e approfondirà quella già pubblicata.

Una programmazione di dieci o dodici anni e 15 mld di euro

«Il piano delinea interventi di prevenzione rispetto ad eventi alluvionali – spiega Colombo – ma non potranno essere immediati. Necessitano di una programmazione di 10 o 12 anni». E di molte risorse. Il presidente di Autorità di Bacino in una intervista ad Avvenire le ha stimate in 15 miliardi di euro: «Anche qualora fossero disponibili – osserva Colombo – progettare e realizzare questi interventi non sarà semplice». Perché, al di là dei fondi, serve una concertazione territoriale: saranno necessari espropri e accordi con proprietari di terreni. Il tutto in un quadro che, a partire dalla riforma del Codice dell’Ambiente del 2019, prevede il passaggio dai Pai (pianificazione di bacino) territoriali a un Pai unico che recepirà le indicazioni del piano speciale ma non sarà pronto prima di un anno. Si tratta di “ridisegnare il territorio”, a partire da quel che è successo nel maggio 2023. Non è semplice, ma occorre cambiare rotta. Il piano speciale lo dice fin dalle prime pagine: «L’attuale assetto idraulico dei corsi d’acqua non garantisce un adeguato livello di protezione dei territori circostanti». Sotto la lente vari fattori: l’alto grado di «artificializzazione, con presenza di argini continui e in adiacenza o in prossimità dell’alveo», frutto della sistemazione idraulica dei primi del Novecento, la presenza di insediamenti urbani e produttivi prossimi ai corsi d’acqua e numerose opere infrastrutturali interferenti con i fiumi e con il deflusso delle piene. In più, sottolinea il piano, «il territorio drenato dalla rete consortile è caratterizzato da pendenze ridotte e, in molte aree, ha quote al di sotto del livello del mare», fenomeni che vanno ad aggiungersi alla subsidenza e sono stati, a maggio 2023, i principali responsabili degli allagamenti nelle aree attorno a Ravenna. «Gli argini continui che hanno rettificato il percorso dei fiumi sono stati realizzati a inizio Novecento – chiosa Colombo – e questo ha consentito, all’epoca e dopo, di sviluppare l’agricoltura. Ma poi è arrivato tutto il resto, e la pianura padana si è trasformata in quello che è». Il fatto è che gli argini dei nostri fiumi non si possono alzare di più: sono già troppo pensili. «E se l’acqua tracima, si rompono: questo ha generato la maggior parte dei danni», spiega Colombo. La quantità d’acqua caduta a maggio 2023 è stata di 350 milioni di metri cubi e si è allagata un’area di circa 800 chilometri quadrati. Come mettere in sicurezza tutto questo? Tra le azioni strategiche il piano prevede: la realizzazione e il completamento delle casse di espansione, l’abbassamento dei piani delle golene e dei tratti degli argini più pensili e la “tracimazione controllata” al di fuori degli argini principali, «nonché la delocalizzazione di beni in aree a elevata pericolosità idraulica” e il «potenziamento della rete di bonifica». «Abbassando le golene e controllando la vegetazione – spiega Colombo – e associando interventi di risagomatura degli argini si aumenta la capacità di portata dei fiumi. Ma sarà anche necessario individuare tratti dove poter far uscire l’acqua in modo controllato in caso di eventi estremi come quelli del maggio 2023». In pratica, delle “valvole di sfogo”; terreni agricoli, come quello di Cab Terra che ha già svolto questa funzione (non prevista) salvando il centro abitato di Ravenna. «Bisognerà poi concordare degli indennizzi con i proprietari dei terreni. Si tratta delle cosiddette ‘servitù di allagamento’ che verranno corrisposte al privato che coltiva quei terreni. E potrà continuare a farlo». Con dei rischi. La logica insomma è: tentare di «gestire l’acqua anche al di fuori degli argini. Occorre minimizzare i danni complessivi».

Daniela Verlicchi