Affitti che non si trovano, abitazioni in centro storico che non si riescono a riqualificare e una burocrazia soffocante senza strategie per il futuro. Sono queste le criticità del settore urbanistico a Faenza e non solo, dove sembra mancare una visione d’insieme. Su questo tema abbiamo sentito Riccardo Casamassima, direttore del Coabi, cooperativa di abitazione fondata a Faenza nel 1979. Coabi ha realizzato oltre 550 abitazioni, per il 60% su aree Peep o convenzionate.
Intervista a Riccardo Casamassima: «Manca una visione reale di futuro, e negli anni non si sono sostenuti alloggi pubblici di qualità»
Casamassima, quali sono le criticità maggiori che si riflettono poi nel nostro contesto faentino?
Senza giri di parole, manca del tutto una politica che affronti seriamente il problema abitativo e della casa. Non c’è una visione generale verso la quale tendere per rispondere ai bisogni attuali e futuri. Questa visione manca tanto a livello nazionale, specie per quanto riguarda le politiche fiscali, ma anche a livello regionale: è la Regione che ha le principali competenze in materia urbanistica ed edilizia.
Quali sono i bisogni attuali a Faenza?
La domanda di casa è alta, ma le abitazioni non si trovano né in acquisto né in affitto. O meglio, se sull’acquisto in un qualche modo le famiglie riescono a trovare rimodulando le proprie aspettative, sull’affitto la situazione invece davvero critica da diversi anni. E questo riguarda in maniera trasversale single, anziani, giovani coppie, stranieri, questi ultimi anche perfettamente integrati sul territorio.
Quali sono alcuni dei motivi per i quali non si incrociano domanda e offerta?
Su questo tema vado un po’ controcorrente rispetto al pensiero comune. Ritengo che l’approccio sulla sostenibilità ambientale in questo settore negli ultimi venti anni sia stato molto ideologico. Un’abitazione classe A non è alla portata, di fatto, per alcune categorie di acquirenti e risulta così accessibile solo per pochi. In questi anni non c’è stato un approccio inclusivo capace di favorire alloggi pubblici di qualità. Mi viene da paragonare questo tipo di case all’auto elettrica: quanti cittadini realmente possono permettersele? E queste case di ultima generazione quanto sono realmente ecologiche, o c’è invece del greenwashing dietro? Non dico che il modo di costruire le case di una volta fosse meglio, ma alcuni standard di richieste forse potrebbero essere previsti come upgrade nel tempo, da realizzare a partire da una casa-base accessibile. Preciso che non rientra in questo ambito la sicurezza sismica e antincendio. Per le nostre città, a livello sociale, la casa sostenibile deve andare di pari passo con l’accessibilità. Tra l’altro avere una casa di qualità accessibile è il miglior investimento possibile per un cittadino.
In che senso?
Puoi avere anche un ottimo stipendio, ma se non hai la tua casa che risponde a determinate esigenze, di fatto sei comunque un precario nello stile di vita, e fatichi a mettere radici nella comunità. Una delle basi della società democratica è la casa. Si dovrebbe inoltre favorire un approccio ecologico e ambientale non individualista. Penso ai pannelli fotovoltaici, su cui ci vorrebbe un approccio di insieme e non di micro-interventi privati, spingendo sulla nascita di comunità energetiche, migliorando gli incentivi.
A Faenza ci sono davvero tremila immobili vuoti, come spesso si sente dire?
Ritengo che questi numeri siano esagerati, ma in effetti ci sono una vaste aree del centro storico dove gli immobili sono di fatto vuoti. Si tratta in gran parte di immobili che dovrebbero essere ristrutturati, ma i proprietari non si possono permettere investimenti di quel tipo. Spesso questi immobili sono troppo grandi per un privato, ma troppo piccoli per un’impresa che vuole investire. Qui dovrebbe intervenire la legislazione per favorire la demolizione e la ricostruzione, senza esseri soffocati dalla burocrazia. Tutto questo va però incentivato e sostenuto dalla politica, altrimenti resterà tutto fermo. Il Comune dovrebbe lavorare in maniera sinergica con i privati, ma non sempre questo avviene. Un altro tema da portare all’attenzione, e che sarà sempre più impattante nei prossimi anni, è quello degli anziani e dell’housing sociale, su cui anche a Faenza si stanno sviluppando progetti interessanti.
L’alluvione ha aggravato una situazione già critica nel mercato della casa. Che ruolo ha avuto il consumo di suolo in quello che è accaduto?
Alluvione e consumo di suolo non vanno visti di per sé come collegate. Molte aree di nuova urbanizzazione non sono state alluvionate, eccezion fatta per l’Orto Bertoni dove si è rotto l’argine del fiume. La nostra regione ha avuto tassi di crescita economia altissimi, Faenza compresa, anche grazie al consumo di suolo. Penso alla crescita della zona industriale di Faenza: questo ha fatto sì che la nostra città logisticamente fosse attrattiva a livello economico e abitativo. Tanti parchi e piste ciclabili, in realtà, sono figli del consumo di suolo e dagli oneri di urbanizzazione dati ai Comuni. Ora bisogna sicuramente riparare alcuni eccessi, ma non è stando fermi o dicendo sempre «no» che si risolve il problema, anzi.
E cosa fare nei quartieri ormai consolidati che si sono alluvionati?
Lì bisogna prendere atto che ormai le abitazioni e gli abitanti ci sono e bisogna fare di tutto per metterli in sicurezza.
Samuele Marchi