Aprire una nuova attività imprenditoriale non è mai facile. Ma se si è donna, può esserlo ancora di più. Nonostante i passi in avanti fatti, differenza di opportunità, gap di cultura d’impresa e stereotipi sono ancora presenti nella società.
Per fare il punto sull’imprenditoria femminile nell’Unione della Romagna faentina, abbiamo intervistato Sara Reali, coordinatrice di “Impresa Donna Confesercenti”.
La conciliazione vita-lavoro e i pochi bandi di sostegno tra le difficoltà più grandi per le donne che vogliono fare impresa
Reali, dai vostri uffici che quadro emerge sul lavoro femminile nel nostro territorio?
Nel faentino riscontriamo un buon numero di ragazze e donne che vengono a chiedere informazioni per aprire un’attività. Per la maggior parte si tratta di pubblici esercizi (bar e ristoranti), ma ci sono anche richieste per aperture commerciali, che sono in generale le attività più in difficoltà in questo momento. Dal colloquio con queste donne, raccogliamo tutte le difficoltà che hanno nel diventare libere professioniste, titolari di un’attività o vogliono rilevare l’attività di famiglia. Da questo dialogo, cerchiamo di avviare un percorso per sostenerle.
Da dove nascono queste difficoltà?
Il problema principale è la conciliazione vita-lavoro e la gestione della cura della famiglia, che oggi non riguarda solo i figli, ma anche genitori o parenti anziani e in difficoltà. Le donne spesso si prendono carico di questa cura, e quindi per loro diventa difficile portare avanti un’attività imprenditoriale. Vediamo poi tante difficoltà nel riuscire ad accedere a finanziamenti e bandi che possano sostenere l’imprenditoria femminile. Le opportunità ci sono e la Regione offre diverse occasioni in tal senso, ma sono ancora insufficienti e bisognerebbe investire di più. Il sostegno iniziale per aprire un’attività è molto importante, e può essere il discrimine che fa decidere se aprire o meno una nuova attività. In parallelo a queste problematiche, ci sono però anche testimonianze di grande coraggio.
Ci può fare qualche esempio locale?
Penso alla libreria Moby Dick, che vede ora due titolari donne e due collaboratrici, con età differenti tra di loro, e questo penso sia un dato di valore. Pongono grande attenzione al rapporto col cliente e alla valorizzazione del proprio prodotto, con un bel tocco femminile.
E qualche attività colpita dall’alluvione?
Il primo esempio che mi viene in mente è quello del Caffè Ferniani, che ha riaperto nell’omonima piazzetta.
È stata una delle prime attività a riaprire in quell’area. La titolare si è rimboccata le maniche affrontando tante difficoltà, ben consapevole che le sfide sono ancora tante.
Quel quartiere non è certo tornato alla normalità. La chiusura del ponte in questi mesi e i lavori del cantiere in via Renaccio non favoriscono la clientela, ma il suo è stato un segnale di speranza per tutta via Lapi.
Come Confesercenti quali iniziative mettete in campo a sostegno del lavoro femminile?
Il coordinamento “Impresa donna Confesercenti” serve proprio a monitorare le varie situazioni e a tenere i riflettori accesi. Tra le varie iniziative, abbiamo istituito poi a livello provinciale il Premio Confesercenti, giunto alla terza edizione, con un focus sull’imprenditoria femminile, dove raccogliamo le candidature e realizziamo video promozionali delle attività. Abbiamo attivato poi il progetto A scuola d’impresa con gli istituti superiori, e a parlare portiamo sempre diverse imprenditrici, anche per aiutare i giovani a superare gli stereotipi di genere. C’è per esempio la benzinaia, l’agente di commercio donna (sono molte in provincia), la titolare di una profumeria, la libraria: il concetto è dimostrare che non si deve essere relegati in dei ruoli.
Il cambiamento non può arrivare però solo dalle associazioni di categoria.
A livello culturale passi avanti per l’emancipazione femminile ne sono stati fatti.
Anche il contesto dove si vive fa una grande differenza: al Nord Italia la situazione è migliore rispetto al Sud, così come tra le zone urbane o quelle più periferiche. Questo cambiamento culturale non si può risolvere con le, pur necessarie, quote rosa. L’impegno deve essere collettivo: famiglia, scuola e società.
Samuele Marchi