Qualcosa si muove, ma in superficie. Il tema si pone in molti convegni e nel declinare nomi e cariche in documenti ufficiali: «vorrà farsi chiamare sindaco o sindaca, direttore o direttrice?». E nelle tavole rotonde la presenza femminile è sempre più ricercata, anche solo come photo-opportunity. Siamo all’8 marzo 2024 e di parità ormai si rischia di parlare solo a livello formale. Mentre di sostanziale c’è che le donne spesso, a parità di mansioni, guadagnano meno degli uomini e sono troppo spesso costrette a scegliere tra lavoro e famiglia. Siamo ancora alla logica delle quote e della rappresentanza. Una che parli per tutte.
Il mondo ha bisogno della voce delle donne, questo è vero: manca nel dibattito pubblico, nei luoghi dove si prendono decisioni e dove si costruisce il futuro, anche nella Chiesa, come ha più volte sottolineato papa Francesco. Ed è una voce caratteristica, che nasce dal contatto stretto con la vita che portiamo nel dna. Ma ognuna la declina con tonalità e altezze diverse. Ed è qui che la logica della rappresentanza mostra i suoi limiti. È un pregiudizio quello che ha guidato le parole di un ex dirigente regionale alla sindaca di Russi, Valentina Palli: le sue idee sull’alluvione, secondo il geologo, erano frutto della «depressione post-partum». No, si trattava di idee, meritevoli di rispetto come quelle del dirigente in questione. Perché quando parla una donna bisogna riferire tutto quel che dice al fatto che sia una donna? Perché non si ascolta, si discute ed eventualmente si controbatte sulla base delle idee, non di come è vestita o da quanto tempo ha partorito? Occorre sgombrare il campo dai pregiudizi. Tutti, però, anche quelli che ci vogliono tutte allineate su certi temi.
Per fare passi avanti sulla strada della parità bisogna partire da un’educazione diversa, che insegni che siamo diversi ma possiamo fare tutto, soprattutto insieme. Dalla rappresentanza alla partecipazione, vera e reale, anche nella Chiesa, non solo come collaboratrici ma da corresponsabili. C’è un rischio che non possiamo correre: che in questo percorso le donne “perdano” sé stesse, nel tentativo di essere come gli uomini. Che resti quel tono caratteristico della nostra voce, che parla di vita, di cura, di pace. Mamme e professioniste, donne e mogli: tante di noi desiderano essere tutto, insieme. Una missione per la società, un diritto, ma soprattutto un grande regalo per tutti.
Daniela Verlicchi
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