Lavoro o figli. Molte, anche nella nostra provincia devono scegliere. Anche sulla base del bilancio familiare. Nel 2024 nella nostra provincia il tema la parità reddituale tra uomini e donne è ancora un miraggio. A fornirci una panoramica sul tema relativamente alla nostra città è Elena Fiero, segretaria Cisl Romagna. «Stando al report dell’Osservatorio statistico per la parità di genere della provincia di Ravenna (al quale come Cisl stiamo collaborando) nel 2022 – spiega Fiero – il tasso di occupazione maschile era dell’82,9%, mentre quello femminile si attestava al 68%, con una differenza di genere del 14,8%. È importante notare che questi numeri sono migliori rispetto alla media nazionale, che registra un tasso di occupazione maschile del 74,7% e femminile del 55%».

Fiero (Cisl Romagna): “Nonostante i progressi tecnologici, gli stereotipi culturali continuano”

Le donne sono per lo più impiegate nei servizi (commercio/turismo), nella cura, nell’insegnamento, in sanità e nelle aziende private in maniere trasversale solo in ambito amministrativo: «Questo andamento è riscontrabile anche dall’analisi della Camera di Commercio di Ravenna e Ferrara, in particolare nella suddivisione per tipologia delle aziende femminili che sono il 21,2% del totale», prosegue Fiero.
Il decreto interministeriale n. 365 del novembre 2023 individua i settori in cui il divario è più ampio e su cui prevedere gli sgravi per le assunzioni che aiutino a ridurlo: costruzioni (82,4%), industria estrattiva (76,1%), acqua e gestione dei rifiuti (64,4%), trasporto e magazzinaggio (57%), informazione e comunicazione (36,5%), e servizi generali della Pubblica amministrazione (30,8%): «Nonostante i progressi tecnologici – aggiunge Fiero – stereotipi culturali contribuiscono al perseverare delle disuguaglianze.

“Il dibattito sulla natalità? Non deve essere incentrato solo sulle donne”

Vi sono ancora annunci di lavoro che utilizzano cliché e luoghi comuni, in piena violazione delle leggi che vietano di ricercare il personale per sesso. Tutto questo porta a una situazione molto disparata anche dal punto di vista reddituale: il reddito medio di una donna si attesta a 16.550 euro mentre quello medio maschile raggiunge i 25.745 euro. Con un divario del 35,7% circa. Il divario reddituale tra uomini e donne ha radici anche nella percentuale elevata di part-time femminile, nella precarietà delle assunzioni durante l’età fertile e nel lavoro discontinuo legato alla maternità e al lavoro di cura familiare». Molte donne, purtroppo, sono ancora costrette a scegliere tra carriera e la maternità. «Il dilemma tra lavoro e maternità è influenzato da norme socio-culturali che attribuiscono alle donne la responsabilità principale dei figli. Sono solo le ragazze a chiedersi “Riuscirò a lavorare e a essere madre?” Questo bias (distorsione cognitiva) – prosegue Fieno – si riflette anche nel dibattito sulla natalità, spesso incentrato solo sulle donne che affrontano il senso di colpa imposto dalla società per aver scelto di dedicarsi agli studi o per voler perseguire una carriera, come agli uomini è “socialmente” concesso. Questo compromesso può limitare l’indipendenza economica, un fattore determinante per sfuggire alla violenza domestica e priva la nostra società dell’apporto dei talenti femminili». Stereotipi culturali che incidono sullo sviluppo formativo dei bambini e delle bambine fin dalla prima infanzia e plasmano le loro future scelte.

Dal pensiero all’azione: “Serve una contrattazione a tutti i livelli”

Se la cultura richiede un cambiamento graduale, tuttavia «leggi e politiche possono promuovere una “nuova normalità”, sostenendo il lavoro femminile e favorendo la conciliazione». Lo dimostrano i buoni risultati portati dal decreto interministeriale del 12 settembre 2017 che «grazie a uno stanziamento di circa 110 milioni di euro per il biennio 2017 e 2018, riconosceva importanti sgravi contributivi alle aziende private che sottoscrivevano con i sindacati misure di conciliazione. Occorre poi rafforzare l’infrastruttura sociale territoriale e l’accessibilità dei servizi», aggiunge la segretaria della Cisl Romagna.

Secondo gli studi dell’Osservatorio 4.Manager, un progetto di Confindustria e Federmanager, le aziende più inclusive e con equilibrio di genere generano un valore superiore: «Garantisce benefici diretti e indiretti, tra cui spinta all’innovazione e miglioramento della reputazione. Nel contesto europeo, dati dell’Eige indicano che entro il 2050, una maggiore parità di genere potrebbe aumentare il Pil pro capite dell’Unione Europea tra il 6,1% e il 9,6%, corrispondente a 1,95-3,15 trilioni di euro. Ciò porterebbe a oltre 10,5 milioni di nuovi posti di lavoro entro il 2050, di cui il 70% sarebbe occupato da donne».

«L’azione principale – conclude Fiero – si svolge nella contrattazione a tutti i livelli: Governo-istituzioni, aziende e ai tavoli dei Ccnl. Crediamo che il miglior modo per essere risolutivi nelle problematiche di disparità sia quello di “agire la parità” in ogni momento della nostra azione quotidiana, indossando sempre quegli “occhiali di genere” che ci permettano di vedere le differenze e agire per valorizzarle nell’interesse comune delle persone che rappresentiamo».

Erika Digiacomo

Cisl Romagna: si parte dalla scuola

La sperequazione tra i generi è questione educativa, spiegano dalla Cisl. In virtù di un cambiamento ormai necessario per affrontare le disparità di genere, Cisl Emilia-Romagna promuove iniziative come il progetto SportelloLavoroScuole, che propone negli istituti superiori un percorso di orientamento, che si apre a chiunque sia in ricerca di sé, del proprio lavoro ideale. Poi occorre agire sula contrattazione, spiega Fiero: «Tra l’altro la contrattazione spesso anticipa la legge: né è un esempio il contratto delle Poste dove era già previsto che l’azienda integrasse il congedo parentale fino all’80% della retribuzione per due mesi, misura ora introdotta dal Governo»