Una vita per gli altri, quella del Carabiniere. Da settembre il capitano Alessandro Averna Chinnici è il nuovo comandante della Compagnia dei Carabinieri di Faenza. Di origini siciliane, è nato a Roma il 16 settembre 1991 ed è nipote di Rocco Chinnici, il magistrato assassinato dalla mafia nel 1983. Dopo aver conseguito il diploma di liceo Classico ha frequentato il 193° Corso “Valore” dell’Accademia militare di Modena e la Scuola Ufficiali Carabinieri di Roma nel quinquennio 2011-16, conseguendo la Laurea magistrale in Giurisprudenza. Approfondiamo il suo percorso e i suoi primi mesi in città.
Intervista al comandante della Compagnia di Faenza: “Il sacrificio è il valore più alto dell’Arma”
Comandante Averna Chinnici, quando ha deciso di entrare nell’Arma?
La decisione è maturata nell’ultimo anno di liceo, ma per certi versi parte da più lontano. Viene dalla testimonianza dei Carabinieri che facevano da scorta a mio nonno, Rocco Chinnici, e che sono morti con lui nell’attentato mafioso del 1983. Quando era consapevole di essere ormai prossimo alla fine, mio nonno chiamò i Carabinieri della scorta per chiedere loro se volevano farsi trasferire, per non coinvolgerli. Nessuno di loro si è tirato indietro, pur sapendo a cosa andavano incontro. La loro scelta e il loro sacrificio mi hanno aperto un mondo che ho voluto fare mio e nel 2011 sono entrato all’Accademia militare di Modena.
Come sono stati questi anni di addestramento?
Sicuramente duri, ma necessari per prepararti a quello che sarà dopo. Questo vale per le esercitazioni particolari che svolgevamo, ma anche per la quotidianità. Il primo anno di corso, per esempio, lungo i corridoi, per spostarti da un posto all’altro non puoi camminare, ma devi sempre correre, radente al muro. Arrivi a ogni lezione stanco e sudato. Alla lunga, questo ti sfianca non solo fisicamente, ma mentalmente.
E da agosto a Natale non ho messo piede fuori dall’Accademia. L’addestramento militare ti mette alla prova, ma tutto questo mi ha fatto capire una cosa. Lo stress fisico col tempo passa, ma quello psicologico è molto più difficile da sopportare. Confrontarsi senza sconti con questo è un aiuto prezioso per il servizio nell’Arma, spesso svolto in situazioni di stress.
Non ha mai pensato di lasciare?
C’è una selezione durissima per entrare. E dopo tutte le fatiche che ho fatto per arrivare fin lì, non ho mai pensato di mollare.
Al termine dell’addestramento dove ha prestato servizio?
Alla Scuola per Marescialli e Brigadieri di Velletri. Ero comandante di plotone e, in particolare, insegnavo Diritto penale a persone che avevano anche vent’anni più di me. L’insegnamento nel contesto dell’Arma mi è piaciuto moltissimo e ho creato in quel periodo ottimi legami che conservo ancora. Successivamente sono stato al Nucleo Operativo Radiomobile di San Giovanni in Valdarno (Arezzo). Questa è stata un’esperienza che mi ha fatto crescere molto, anche se in maniera ruvida, perché per la prima volta ho dovuto confrontarmi, per esempio, con omicidi. -Prima di Faenza, sono stato comandante nella Compagnia di Intervento operativo di Bologna, che ha un importante ruolo per esempio come antiterrorismo e prima emergenza. Tutto questo iter mi ha dato modo di crescere nelle tre branche principali dell’Arma: quella addestrativa, quella territoriale e quella mobile.
Cosa hanno lasciato queste tappe già percorse nella sua vita?
Verrebbero da dire subito i risultati, gli obiettivi portati a termine, gli arresti e le operazioni compiute, ma a restare impressi dentro di me sono soprattutto i rapporti umani che ho creato, questa è forse la cosa più importante. Ogni luogo mi ha lasciato ricordi indelebili.
Il Carabiniere, a dispetto dell’immagine distaccata che spesso gli si dà, è una persona come tutte le altre, e per questo le relazioni che crea – con i colleghi, con i cittadini e la società civile – sono fondamentali e sono la chiave per fare la differenza nel servizio.
Una persona come le altre, ma anche con una sua specificità.
Qual è lo specifico del Carabiniere?
Il sacrificio. Quando c’è un’emergenza da cui, giustamente, la persona comune scappa, il Carabiniere va dalla parte opposta. Il sacrificio è il valore più alto dell’Arma. C’è un’immagine che lo testimonia nitidamente: la lapide del generale Dalla Chiesa, immortalato poco prima di morire. Il suo gesto finale è quello di abbracciare la moglie per difenderla dai proiettili. Un’immagine che dice più di mille parole.
Come sono stati questi primi mesi a Faenza? Che città ha trovato?
Mi ha colpito in positivo: rispetto all’Emilia ho trovato un clima in generale più accogliente e simile, per certi aspetti, al Sud Italia, e questo mi fa quasi sentire a casa. Ho notato da parte dei cittadini un grande rispetto per l’Arma. E a livello operativo, ho trovato Carabinieri ben formati e addestrati con una buona disposizione di mezzi, aspetto non scontato.
Quali sono le criticità maggiori che ha riscontrato sul nostro territorio a livello di trasgressioni e criminalità?
Principalmente due: lo spaccio di stupefacenti e i furti nelle abitazioni. Il primo è un problema non certo solo faentino, a cui cerchiamo di dare risposte concrete, come per esempio quando, durante un controllo in un chiosco, lo scorso gennaio abbiamo recuperato 16 kg di hashish da uno spacciatore. Sui furti, ovviamente è importante il nostro intervento dopo le segnalazioni, ma cerchiamo di aiutare i cittadini soprattutto nell’opera di prevenzione. Aiutiamo in particolare gli anziani ad avere quell’accortezza in più che può fare la differenza. Oppure l’attenzione alle classiche truffe, di chi si presenta in altra veste. Per questo stiamo puntando molto a svolgere incontri di questo tipo nelle parrocchie, a cui invitiamo a partecipare non solo gli anziani, ma anche le loro famiglie e tutta la società civile. La sicurezza si crea a partire da questa base di fiducia reciproca. E le comunità sono più coese là dove c’è sicurezza.
Cosa intende lei per sicurezza?
È una sintesi tra due aspetti: la sicurezza percepita e quella reale, che devono sempre più combaciare. Per fare questo è importante far sentire la presenza dell’Arma sul territorio e far capire che c’è qualcuno che di notte, per esempio, veglia su di te. È importante essere presente e dialogare col territorio, con le scuole, con le istituzioni, mettendo a proprio agio chi ci sta di fronte. È uno stile che cerco di mettere in pratica ogni giorno nel mio comando: mettere a proprio agio prima di tutto i colleghi – che solo così possono fare al meglio il proprio lavoro -, poi i cittadini. Persino con chi è colto in trasgressione avere questa sensibilità fa la differenza in positivo.
Lei è nipote di Rocco Chinnici. Cosa ha significato per lei, l’arresto del latitante Messina Denaro?
Il suo arresto, così come quelli di Provenzano e Riina prima di lui, ci insegnano che alla fine lo Stato vince sempre. E ci sarà sempre gente che ricorderà mio nonno, Falcone e Borsellino e tanti altri, tramite le vie e le piazze, a testimoniare che i loro sacrifici non sono stati vani.
A Faenza a luglio è stata notificata la confisca di un terreno alla criminalità organizzata, in via Granarolo. Anche la Romagna deve stare in guardia su questo tema.
Il primo errore è pensare che la criminalità organizzata sia presente solo al Sud. Purtroppo è diffusa a macchia d’olio in Italia e in Europa.
E si inserisce là dove i territori incominciano ad accettare compromessi tra legale e illegale. I settori sono quelli più floridi, cito in Romagna l’edilizia ma anche lo smaltimento rifiuti. Segnalare episodi sospetti alle istituzioni e all’Arma è la giusta mentalità con la quale affrontare l’infiltrazione mafiosa.
Samuele Marchi