La targa in ceramica è ancora affissa lì, con il suo numero blu luccicante “213” su sfondo bianco. Ogni giorno migliaia di auto vi transitano a fianco: siamo a due passi dal casello autostradale e dal centro commerciale Le Maioliche. Ogni giorno quella targa fittizia è stata sotto agli occhi di tutti, ma, forse proprio per questo, è passata inosservata e “invisibile”. Nel silenzio generale, su quel terreno di circa un ettaro in via Granarolo 213, confiscato alla criminalità organizzata, negli anni è sorto un fabbricato abusivo. Delle attività illecite che venivano svolte restano solo cumuli di materiale edile, due tir abbandonati, un’auto sfasciata. L’Anbsc, l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, tramite la prefettura di Ravenna, ha notificato la confisca al Comune nel luglio scorso. Il 24 gennaio il consiglio comunale ha approvato la possibilità di acquisire questo terreno, previa la verifica che non sia contaminato.

Il bene confiscato potrebbe diventare sede di orti sociali

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La proposta, annunciata dall’assessore al Welfare Davide Agresti, sarebbe quella di realizzare su quel terreno un progetto di orti sociali, sul modello di esperienze già virtuose sul territorio come per esempio quella di Terra Condivisa. Per fare questo si è in attesa dell’esito dei prelievi sul terreno, in programma nel corso di questa settimana, per verificare se è contaminato e se sarà necessario mettere in atto ulteriori attività di bonifica. L’immobile invece andrà demolito. Se sul futuro di questo terreno c’è incertezza, altrettanti punti interrogativi restano sul passato. La prima sentenza da cui nasce l’intervento dell’Anbsc è del 2012 del tribunale di Catania, a cui è seguita una sentenza della Corte di Cassazione del 2016. Si fa riferimento all’operazione “Iblis” che ha evidenziato presunti rapporti fra politica, imprenditoria e mafia in Sicilia.

Faenza Eco-logica: “Perché nel catasto quel fabbricato era presente?”

A porre i riflettori su questi aspetti è stata nei giorni scorsi Faenza Eco-logica. «Possibile che il Comune, in tutti questi anni, non sapesse cosa succedeva in quell’area? – si legge in un comunicato -. Quali aziende la frequentavano? In quel sito non era registrata una discarica regolare, solo una piccola azienda familiare di vendita e lavaggio auto che aveva la sua sede legale proprio in via Granarolo 213, (dal 2019 fino al giugno 2022) quando poi cambia sede. Le persone titolari, nella visura storica emessa dalla Camera di Commercio di Ravenna, risultano con il domicilio in via Granarolo 213. Un fabbricato che il Comune ora considera abusivo e non sanabile. Possibile che prima non si fosse mai accorto che quel fabbricato era abitato? Come cittadini ci chiediamo: se è stato commesso un reato ambientale perché non viene perseguito? Chi sono i responsabili di questi sversamenti illeciti? È in corso un’indagine? E chi doveva vigilare dov’era? Perché nel catasto quel fabbricato era presente?». E lascia un sorriso amaro pensare a come sia stata possibile questa vicenda visti tutti gli adempimenti burocratici che devono svolgere le aziende in regola.

L’importanza dei beni confiscati alla criminalità

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In Emilia-Romagna (dati 2021), sono 644 gli immobili gestiti dallo Stato e 147 quelli già destinati ad altra funzione, tra i beni confiscati alle mafie. A questi si aggiungono 94 aziende prese in carico. «Sicuramente partire ricostruendo il radicamento mafioso con sentenze, dossier, articoli è fondamentale – si legge nel dossier Idra di mafiasottolecase.com – . Ma sappiamo tutti cosa funziona davvero, cosa davvero smuove le coscienze e crea consapevolezza, ovvero sbattere il muso contro qualcosa di tangibile, qualcosa che occupa lo spazio fisico, pubblico, qualcosa che lo sguardo non può evitare, qualcosa che può essere indicato persino da un bambino. Ed è a questo che servono i beni confiscati alle mafie e restituiti alla collettività. Purtroppo, in diverse città della provincia abbiamo molti beni confiscati alle mafie, ma finora scarsissime esperienze di riuso sociale. I soggetti deputati a chiedere l’assegnazione del bene e la sua destinazione a favore della collettività hanno rinunciato a questa possibilità, di cui hanno legittimamente approfittato altri soggetti».

Samuele Marchi