Italiani, anzi faentini, ma non per lo Stato. È questa la condizione in cui si trovano diversi giovani del nostro territorio. Una situazione da ‘ibridi’: con tante difficoltà concrete – dal viaggiare alla partecipazione ai concorsi pubblici fino alla ricerca di un affitto – che si trovano ad affrontare ogni giorno. Mentre si torna a parlare di ius scholae, iniziamo un percorso che ci porta a conoscere meglio la vita di alcuni di questi giovani. Questa settimana incontriamo Justina Kamwangila. Ha 33 anni ed è impiegata in un’azienda di marketing a Faenza. È attiva anche nel volontariato, con l’associazione Mani Tese, e per diverso tempo ha fatto servizio in oratorio.
Diverse strade bloccate: dalle possibilità di viaggiare ai concorsi pubblici
Justina, quando è arrivata la tua famiglia in Italia?
La mia famiglia d’origine è dello Zambia. In realtà in Italia sono arrivata solo io, nel ‘92 quando avevo 4 anni. Per curarmi da una malattia sono stata presa in affidamento in una casa famiglia della Papa Giovanni XXIII, che si è sempre impegnata fin da subito a rendermi una cittadina in regola con tutti i documenti necessari.
Come è stato il tuo percorso di studi?
Ho un percorso formativo completo, inizialmente un po’ tribolato, perché ero una delle prime bambine nere della scuola e dovevo ancora imparare bene l’italiano. Mi è stato raccontato che è stata una lotta farmi entrare in prima elementare con i bambini del mio anno, sono riuscita a iniziare il percorso formativo ottenendo una maestra di sostegno. Uno volta avviato il percorso è stato naturale per me e i miei compagni sentirci parte bella della stessa classe.
Ritieni Faenza una città inclusiva?
Quando ero più piccola pensavo che fosse la miglior città della Romagna, cosa che penso ancora. Oggi, con più consapevolezza, posso dire che su questo tema prova a piccole dosi a esserlo. Nel senso, eventi inclusivi ci sono, legati per esempio all’intercultura o al dialogo interreligioso, ma sono spesso poco pubblicizzati e non vissuti pienamente da tutta la cittadinanza. Su questo si potrebbe fare di più.
Quando hai percepito per la prima volta di essere in una condizione giuridica diversa dai tuoi coetanei?
A ogni nuovo step scolastico. Tra medie e superiori la differenza più sentita è stato vedere come per i miei compagni di classe fosse facile andare in gita, viaggiare, o fare scambi estivi, perché ogni volta io dovevo dimostrare chi ero e da dove venivo. In seconda media, dopo la prima volta che mi scontrai con questa difficoltà per fare un semplice campo formativo in Francia – a cui rinunciai – non provai più a proporlo alla famiglia, perché era per me un dispiacere grande non poter godere delle possibilità scolastiche così semplici, formative e culturali. Da grande avrei voluto partecipare a bandi pubblici per fare il Servizio civile, ma sono dedicati solo alle persone con cittadinanza italiana. Ci sono un sacco di opportunità ed esperienze che per cause giuridiche non ho potuto vivere, ma ho dovuto adattarmi a situazioni completamente diverse o al niente.
“Lo ius scholae è una toppa imperfetta a un grande buco istituzionale”
In cosa concretamente sei messa in condizione di difficoltà per non avere la cittadinanza?
Sicuramente viaggiare e avere la tranquillità di non essere razzializzata come l’extracomunitario di turno che viaggia senza documenti, che fortunatamente ho da sempre in regola ma è una sensazione latente e sentita, anche quando non si hanno problemi di irregolarità, questo perché puntualmente nel gruppo sono la persona che viene trattenuta per tutti gli accertamenti. Senza la cittadinanza ho solo una carta di identità non valida per l’espatrio e ottenere e rinnovare il passaporto del proprio Paese è sempre un’impresa. Questo comporta che, ad esempio, paradossalmente non possa andare a San Marino e non possa nemmeno viaggiare tra i Paesi del patto di Schengen. L’Italia è un Paese meraviglioso, ma volete mettere la tranquillità di poter viaggiare, anche solo per andare a vedere gli Abba a Londra per un weekend? Cioè è impagabile.
A che punto è il tuo iter per ottenere la cittadinanza?
Inizialmente ero spaventata dalla richiesta, perché le politiche erano cambiate e mi sembrava di essere persona non gradita nel Paese in cui sono cresciuta. Ho rimandato questa decisione, poi ho capito quanto sia un diritto e quanto grande sia il mio sentimento per l’Italia e la voglia di essere una cittadina italiana a tutti gli effetti, perché è qui che sono cresciuta, è qui che vedo il mio futuro ed è qui che mi sento a casa. Ora sto aspettando dei documenti dal mio Paese per finalizzare la domanda, non facilmente reperibili per chi ha sempre vissuto in Italia. Posso fare domanda in qualità della mia permanenza, per almeno 11 anni consecutivi. Una volta presentata non hai molte certezze. Entro 4 anni potrei avere una risposta positiva o negativa sul rilascio della cittadinanza e se ci sono errori nella documentazione tutto è da rifare.
Che opinione hai dello ius scholae?
Trovo che sia un inizio di un dialogo atteso da tempo per rinnovare quello che è il sistema italiano di cittadinanza. Credo sia chiaro a tutti che i tempi passano e le comunità e le esigenze pure. È doveroso un aggiornamento. Lo ius scholae è un’imperfetta toppa su un buco istituzionale e giuridico più grande, ma sono fiduciosa che a piccoli passi verranno raggiunti grandi traguardi, per il bene dell’intera comunità italiana.
Samuele Marchi