In quell’importante, gran bel libro di Angelo Emiliani I faentini caduti per la libertà di cui vi ho parlato nell’articolo del 17 aprile scorso e che è stato presentato con successo lunedì 28 al Museo del Risorgimento, compare più volte il nome di Raffaele Raffaeli, il famigerato segretario del Fascio di Faenza nel 1943-44, complice e responsabile di sevizie, torture, efferate rappresaglie compiute dai fascisti faentini in quei due anni nei confronti di tante persone inermi e innocenti. «Una belva umana» è l’espressione usata nei suoi diari dal vescovo di Faenza Giuseppe Battaglia che andò ad implorarlo inutilmente per salvare la vita di chi era rinchiuso nella tristemente nota villa di San Prospero.

Condannato a morte, non scontò neanche un giorno di carcere

raffaeli

Alcuni miei conoscenti, nel leggere che Raffaeli, pur condannato a morte in contumacia dalla Corte di assise straordinaria di Ravenna in data 14 gennaio 1947, non ha mai scontato neppure un giorno in carcere, mi hanno chiesto stupiti come sia stato possibile. Per spiegarglielo sono andato a rileggermi un paio di articoli che il dottor Arturo Frontali, caro amico e prezioso collaboratore di Radio 2001 Romagna scomparso recentemente, scrisse sulla Rivista, proprio in merito a questo, fra il giugno 2001 e il marzo del 2002. In questo numero de il Piccolo riporto, per ragioni di spazio, soltanto una sintesi di quello che Frontali, grazie a una sua fortunata ricerca in cui ebbe modo di raccogliere varie testimonianze, riuscì a scoprire circa il soggiorno a Roma di Raffaele Raffaeli dal 1945 al 1981, anno della sua morte. Il testo completo di interviste e testimonianze lo si potrà invece trovare sul prossimo numero di 2001 Romagna che uscirà nella seconda metà di giugno. Ecco dunque una parte di quanto scrisse allora Arturo Frontali. «Nella notte fra il primo e il due maggio del ‘45, Raffaeli scappa misteriosamente dalla caserma Cavalli di Novara (circondata dai partigiani) dove è asserragliato insieme ad altri brigatisti neri, fra questi anche Carlo Geminiani, fuggiti con lui da Faenza alla fine di ottobre del ‘44.

La fuga e l’arrivo a Roma

Non si sa bene come, ma riesce ad arrivare a Tezze d’Arzignano, nel vicentino, dove vive la moglie Agostina Amoratti che è in attesa di un bimbo. Lui e la moglie fuggono da Tezze con l’aiuto di varie persone che li ospitano lungo il tragitto, gli forniscono due biciclette e il 5 giugno arrivano a Roma. Lì incontrano casualmente un sacerdote che, senza fare troppe domande, prende a cuore la loro situazione, li aiuta a trovare casa e fornisce a Raffaeli una serie di indirizzi che gli consentono di lavorare. Fra questi, c’è quello di un importante istituto religioso, il collegio di Propaganda Fide sul Gianicolo, dove lui, sotto il falso nome di “professor Antonio Petani” farà l’insegnante per undici anni. Raffaeli aveva il diploma di maestro elementare, ma con una cultura superiore al suo titolo era in grado di insegnare varie materie dall’italiano al latino alla storia e filosofia. Per alcuni anni nessuno lo cerca. Al primo figlio nato nell’agosto del ‘45 (morto nel 1954), ne seguono poi altri tre, un maschio e due femmine. Vive indisturbato fino al giugno del ‘49 quando una mattina presto, forse per una spiata, la polizia suona alla sua porta al decimo piano di un condominio. Riesce a scappare saltando sul terrazzino di un condominio vicino, e raggiunge il collegio di Propaganda Fide che è sede vaticana extraterritoriale e lì rimarrà nascosto per dieci anni continuando a insegnare. Nel 1950 la condanna a morte gli viene commutata in ergastolo, che quattro anni dopo è ridotto a dieci anni; nel 1959 viene poi amnistiato per estinzione di reato e quella è stata l’unica occasione in cui Raffaeli si è presentato in tribunale. Carlo Geminiani, uno dei faentini che erano con lui a Novara ai primi di maggio di ottant’anni fa, era riuscito a trovarlo a Roma, fin dagli anni 1953-54, tramite l’ex fascista Tomaso Bertoni e il fratello Riccardo. L’incontro era stato traumatizzante per Raffaeli, si era sentito scoperto e si era impaurito, ma poi Geminiani l’aveva tranquillizzato e la sua vita era continuata come prima. Dopo l’amnistia Raffaeli si mette in regola, non è più il professor “Antonio Petani”, riprende il suo vero nome, non viene più ricercato per alcun motivo e continua a insegnare per vent’anni presso l’istituto di Cristo Re, liceo ginnasio privato e parificato dell’ordine dei Fratelli del Sacro Cuore; può tranquillamente dedicarsi all’approfondimento dei suoi studi e si iscrive addirittura alla facoltà di Filosofia e pedagogia all’università della Sapienza di Roma dove sostiene tutti gli esami, ma non fa in tempo a laurearsi perchè viene stroncato da un infarto». La personalità di Raffaeli, estremamente complessa e discutibile, lascia perplessi e Arturo Frontali l’ha ben delineata nel sottotitolo del primo dei suoi articoli: Raffaele Raffaeli, chi era costui?
P.S. Vi ricordo che al Teatro dei Filodrammatici L. A. Mazzoni venerdì 23, sabato 24 alle ore 21 e domenica 25 maggio alle ore 16.30 andrà in scena La bizzarra Signora Savage, saggio finale del Laboratorio per ragazzi condotto da Gianluca Lusa. Prenotazioni fin da adesso al numero di cellulare 377 3626110, su Whatsapp attivo tutti i giorni. Oppure acquistare i biglietti direttamente nelle serate dello spettacolo.

Mario Gurioli