Si chiamava Barry Hoban, è morto il 19 aprile scorso, a 85 anni. È stato uno dei primi corridori britannici a mettersi in mostra nel ciclismo professionistico europeo. E per 34 anni l’inglese con il maggior numero di tappe (otto) vinte al Tour de France fino a quando Mark Cavendish lo ha raggiunto nel 2009 per poi superare tutti, anche Eddy Merckx. Fino all’anno scorso Hoban aveva anche un altro primato: 11 Tour su 12 portati a termine, ma Geraint Thomas ha fatto meglio (uno in più).
Barry era nato in una famiglia di minatori a Wakefield, nel West Yorkshire, erano cinque figli, a 15 anni lasciò la scuola, gli toccò il carbone, 140 metri di discesa agli inferi.
Meglio le due ruote, inizia a gareggiare con il club ciclistico locale e a 17 anni prende come modello Tom Simpson, il collega che ne ha tre di più. Anche lui è figlio di un minatore e se Barry si aggrappa al bus per non pagare il biglietto, Tom per arrotondare va a fare consegne in bicicletta.

Simpson nel 1956 ai Giochi di Melbourne vince il bronzo nell’inseguimento a squadre, nel ’59 con i suoi risparmi (100 sterline) e due bici si trasferisce in Bretagna e dice a sua madre: “Non voglio ritrovarmi seduto qui tra vent’anni a chiedermi cosa sarebbe successo se non fossi andato in Francia”. Ha un fisico secco, lo chiamano “il passero”. Nel ‘61 si sposa con Helen Sherburn, e vince il Giro delle Fiandre. Si trasferisce a Gand in Belgio, nel ‘62 nasce la prima figlia, Jane, e un anno dopo Joanne. Nel ’64 taglia il traguardo per primo alla Milano-Sanremo. La regina Elisabetta II lo nomina baronetto, Sir Thomas Simpson. Vince anche in Lombardia e nel ’65 diventa campione del mondo su strada, nella gara disputata in Spagna, a Lasarte-Oria.
Lo segue a Gand anche Hoban, che da ragazzo correva contro di lui nelle gare a cronometro. Vinceva sempre Tom. I due erano compagni solo in nazionale e, quando gareggiavano con la maglia inglese, Hoban era il gregario che cercava di alzare la testa, Simpson quello che rimetteva a posto le gerarchie.
Arrivò il Tour del ’67. La tredicesima tappa iniziava a Marsiglia e finiva a Carpentras, in mezzo c’era il Mont Ventoux. Era il 13 luglio, una giornata afosa, che toglieva il respiro: Il monte Calvo, uno dei tanti soprannomi, fece il resto: Simpson a tre chilometri dalla vetta non ce la fece più. Cadde, lo rimisero in sella, ricadde su un fianco. Hoban che ne sapeva poco del Ventoux alla partenza gli aveva detto: “Andiamo al fresco lassù, c’è della neve”. Sbagliava, la luce bianca accecante era il riflesso delle pietre.

Tom aveva 29 anni, le sue figlie 5 e 4, Barry 27. Il Tour non si fermò, il giorno dopo era festa nazionale, ma quella tappa sembrò un corteo funebre. Hoban si accorse di pedalare da solo: il gruppo aveva deciso che quel giorno avrebbe vinto un inglese, con la fascia del lutto al braccio. L’anno dopo in montagna vinse ancora una tappa. Ma Simpson gli mancava, ne parlava con Helen, la vedova, si vedevano, si scrivevano, cercavano di ritrovare Tom. Qualcosa li univa, in quel buco di dolore c’era molto di più, non solo ricordi.
Nel ’69 si sposarono, lui adottò le due figlie di Tom, insieme ne ebbero un’altra, Daniela. Quattro anni fa Joanne disse che la madre non gli aveva mai parlato della morte del padre. “Eravamo piccole, quando si sposò con Barry le chiesi: come farai quando tornerà papà? Non ci aveva mai detto niente per proteggerci”.
L’amore dei sopravvissuti ha funzionato, Helen e Barry erano andati a vivere nel Galles, nella loro casa c’erano le coppe di Simpson e di Hoban e le foto di una famiglia che aveva deciso di continuare a vivere per Tom. Helen aggiunse che spesso gli capitava di sognarlo e lei correva a nascondere Barry nell’armadio.
Una storia che ha provato a rammendare e a ricucire i buchi della vita, perché tutti abbiamo bisogno di dare un senso alle nostre giornate.

Tiziano Conti
Foto Wikipedia, Hoban di Brian Townsley, Simpson di Panini