Crollano i matrimoni religiosi e aumentano convivenze e riti civili. Non abbiamo cifre ufficiali nella nostra Diocesi «anche perché – spiega don Stefano Vecchi, incaricato di settore della pastorale familiare – se da un lato le convivenze non hanno alcuna ufficialità, non sempre è possibile avere i dati esatti nemmeno dei riti in chiesa. I matrimoni in parrocchia sono calati, non solo perché ci si sposa meno in chiesa, ma anche perché si scelgono spesso location più suggestive come Pieve Thò (Brisighella), Pieve in Silvis (Bagnacavallo) o San Francesco (Cotignola)». I dati dei registri parrocchiali non danno dunque la misura esatta dei matrimoni celebrati nelle chiese e «non è detto che l’aumento di convivenze e riti civili siano segni di mancanza di fede – aggiunge don Vecchi – ma l’indebolimento della pratica religiosa è indubbio. Lo si vede anche dal calo di battesimi. A resistere sono solo le esequie».
Matrimoni con scenari da favola che non hanno valenza civile né religiosa
Se i matrimoni in chiesa sono in calo e i riti civili vengono giudicati freddi e brevi, al giorno da favola non si rinuncia. Già da qualche anno, complici i social network, anche in Romagna è arrivata la ‘cerimonia simbolica’. Un’americanata, avremmo detto anni fa, ma di gran moda, al punto da aver soppiantato la cerimonia in chiesa. Sono spesso matrimoni chic con scenari da favola come spiagge al tramonto, ville, boschi, vigneti e giardini, ma non hanno alcuna valenza legale né religiosa.
Annarita Marconi, “Si sceglie la cerimonia simbolica perché porta emozione”
«La cerimonia simbolica ha preso piede anche da noi – spiega Annarita Marconi, titolare insieme a Roberta Carella dell’agenzia ravennate Sereventi 2005 – perché porta emozione, ma anche per ragioni di praticità. Gli invitati arrivano direttamente in location, si fa la cerimonia a cui seguono l’aperitivo e la festa. In comune vanno ormai solo sposi e testimoni per dare ufficialità al rito». La cerimonia è oggi un atto simbolico, senza sostanza, officiato da un amico degli sposi, oppure da un celebrante ‘professionista’. “È coinvolgente – aggiunge Annarita –, a differenza del rito civile, che è impersonale e freddo. Le coppie vogliono un contorno emozionale, senza regole rigide, e personalizzato. In tanti rinunciano al matrimonio in chiesa, perché spaventati dai corsi prematrimoniali». Spulciando tra i siti dei wedding planner, si scopre che l’attrattiva di questi riti è avere una cerimonia slegata da credo o canoni tradizionali. «Queste coppie si sposano anche in comune nella maggior parte dei casi – conclude Annarita – . Non è nemmeno lo sfarzo ad attirarle, perché ci possono essere matrimoni sontuosi anche in chiesa. È piuttosto una suggestione che le coppie cercano, fatta di atmosfere: luci, candele, tramonti, mare. A volte sono riti intimi, altre con tanti invitati».
Don Stefano Vecchi, “Un’eredità americana, niente a che fare con il rito cattolico”
Un mix stucchevole di retorica e autocelebrazione che va a caccia di emozioni e lacrime con riti lunghi e complessi, ‘pescati’ da altre culture o religioni. «Sono la conseguenza di una dimensione egocentrica e privatistica della vita e un’eredità americana – aggiunge don Stefano Vecchi -. Le damigelle, per esempio, non fanno parte del rito cattolico, che è invece sobrio ed essenziale nella sua profondità di significati. Si tende a gonfiare a tutti i costi una liturgia per riempire il silenzio con infinite processioni, gesti, parole e musica. Senza contare che le wedding planner organizzano tutto. A volte si rivolgono direttamente ai sacerdoti per richiedere i documenti per gli sposi. Per noi invece è fondamentale incontrare i nubendi, perché il sacramento e la sua preparazione è un incontro con Dio e la Chiesa».
La cerimonia simbolica crea nuovi riti e vincoli “una visione troppo superficiale”
Il rito simbolico cerca insomma di liberarsi dai vincoli imposti dalla tradizione cattolica, ma finisce con il crearne di nuovi. Ecco allora che arrivano rituali come il lancio di petali, lo scambio delle rose, il rito della luce, quello della sabbia, l’handfasting, con le mani degli sposi uniti da nastri colorati e via dicendo. Culmine della cerimonia sono le promesse di matrimonio, momento strappalacrime per eccellenza. «È un fenomeno senza dubbio da studiare – precisa don Stefano Vecchi -. Ai corsi per fidanzati ci rendiamo conto spesso che ci sono coppie che non comprendono il senso del matrimonio come evento di fede. C’è una visione troppo emotiva e superficiale. Questo non significa ovviamente che l’amore si misura in base al rito scelto – precisa don Vecchi -. Ogni matrimonio è di per sé la celebrazione di una storia d’amore, che è nata, si è sviluppata e decide di avere una sua forma, religiosa o civile, ma vale anche per le convivenze. L’amore tra due persone è importante in tutte e tre queste forme, ma nel matrimonio in chiesa c’è una definitività che viene pubblicamente dichiarata. L’amore chiede il tutto, non può essere a singhiozzi, richiede il ‘per sempre’, pur tenendo conto delle difficoltà che questa promessa incontra lungo il cammino. Il sacramento è il segno che la coppia cristiana accetta un cammino di discepolato, segno dell’amore di Cristo per la Chiesa, di cui la fede è un elemento fondamentale». Insomma, più che una riscoperta del valore del matrimonio, queste cerimonie sembrano una definitiva capitolazione al consumismo importato da oltre oceano. Un giorno da sogno, lontanissimo dalla quotidianità e se proprio ci si sposa in chiesa, lo si vive in un modo che rasenta la superstizione. «C’è chi dice ‘male non farà’ o ‘porterà bene’, ma il sacramento non è una benedizione – conclude don Vecchi -. È un dono di Dio, non una garanzia di riuscita, nè una magia che ci mette al riparo dal fallimento. Dietro ci sono volontà, impegno e moltissima cura che vanno alimentati ogni giorno. Vivere il matrimonio da cristiano dà pieno compimento all’amore, ma se questa consapevolezza religiosa non c’è, spenti i riflettori, ci si lascia assorbire dalla quotidianità e quando non se ne può più è troppo tardi».
Barbara Fichera