Due anni sono trascorsi da quella primavera del 2023 che ha segnato profondamente la provincia di Ravenna. Le immagini delle campagne sommerse, dei centri abitati invasi dall’acqua e della mobilitazione collettiva rimangono impresse nella memoria di tutti. Ora, il Rapporto Censis 2025, commissionato dalla Cassa di Ravenna, offre uno sguardo lucido e documentato su ciò che è accaduto, ma soprattutto su ciò che ci attende.
Un rischio non più eccezionale
Il primo dato che colpisce è l’elevata esposizione del territorio al rischio idraulico: il 22,2% della superficie provinciale è ad alta pericolosità, con punte che sfiorano il 50% a Conselice e Alfonsine. Faenza stessa ha il 10,3% del suo territorio a rischio. A preoccupare è la trasformazione del clima: le piogge non sono più distribuite ma concentrate, improvvise, violente. A Faenza nel 2024 sono caduti 912 mm d’acqua, distribuiti in soli nove episodi intensi. Un’acqua che cade “tutta insieme” e che i suoli impermeabilizzati – aumentati del +2,8% negli ultimi sei anni – non riescono più ad assorbire.
Quando il territorio non tiene più
Il rapporto fotografa una provincia in cui il cambiamento climatico si è fatto sistema: +1,2°C la temperatura media provinciale rispetto ai primi anni 2000, con punte di +1,5°C a Cervia. E quando in soli due giorni – come avvenuto sul Lamone e sul Senio – si accumulano oltre 230 mm di pioggia, ogni argine e canale è messo alla prova. Ravenna, secondo i dati Ispra, ha oltre 15mila edifici in aree ad alta pericolosità, e quasi 90mila in zona a rischio medio, cioè dove ormai si concentrano i danni maggiori.
Un’economia colpita nei suoi punti deboli
Il tessuto economico ravennate era già fragile prima dell’alluvione: in dieci anni ha perso 3.400 imprese, in particolare nell’agricoltura e nel commercio. L’impatto delle alluvioni è stato sistemico, stimato in 10 miliardi di euro a livello regionale. Una cifra che corrisponde quasi all’intero PIL annuale di molte province italiane. Il paradosso? Molti aiuti non sono stati richiesti per via della burocrazia o della scarsa fiducia nei tempi della risposta pubblica.
La risposta: tra orgoglio e consapevolezza
Il rapporto restituisce anche il racconto dei “testimoni privilegiati”: volontari, amministratori, forze dell’ordine. Tutti concordano su un punto: la risposta immediata è stata rapida ed efficace, ma la prevenzione resta il vero tallone d’Achille. “Senza manutenzione costante – avverte uno degli intervistati – continueremo a subire danni enormi”. Il cosiddetto “Modello Ravenna” ha mostrato eccellenze nella mobilitazione della società civile, ma ora ha bisogno di struttura, pianificazione, risorse.
“Dobbiamo abbandonare l’idea che i romagnoli possano affrontare le sfide del cambiamento climatico e dei rischi idrogeologici da soli”. Potrebbe essere questa affermazione, di un testimone privilegiato, a offrire la sintesi delle varie posizioni, emerse nel corso delle interviste, alla domanda riguardante la possibilità di rendere la reazione del territorio del Ravennate alle alluvioni un modello per la gestione di emergenze naturali esportabile su tutto il territorio nazionale. Perché, a detta dei testimoni e come dimostrato dai fatti, la capacità di coordinamento e risposta degli enti locali, dei corpi di sicurezza, dei soccorritori e dei volontari nei momenti di emergenza è stata notevole, sempre perfettibile, ma a un livello di efficacia che ha permesso, nei momenti più critici, di garantire la messa in sicurezza dei cittadini e di evitare la catastrofe.
Tra declino demografico e bisogno di cura
C’è poi un altro rischio, più silenzioso: lo spopolamento delle aree collinari. Muretti a secco, canali, boschi curati: tutte forme di manutenzione diffusa che si perdono con l’abbandono. Faenza, Brisighella, Casola Valsenio sono esempi concreti di come la tenuta idrogeologica sia legata anche alla presenza umana.
Pensare il futuro, adesso
Il Rapporto Censis invita a “trasformare l’urgenza in progetto”. A due anni dall’alluvione, non ci si può più permettere di considerare eventi simili come eccezionali. Sono la nuova normalità. E se Faenza e il territorio ravennate vogliono continuare a essere una terra di vita, di lavoro e di accoglienza, è ora il momento di fare scelte coraggiose, sistemiche e condivise. “Il futuro della provincia di Ravenna non è scritto – si legge nel rapporto -. Ma alcuni elementi sono ormai chiari. La crisi climatica non è un’ipotesi teorica, ma una condizione concreta che modifica la vita delle persone, la forma della città, le logiche produttive. La risposta a questa crisi non può essere affidata solo all’emergenza: serve un disegno politico capace di tenere insieme prevenzione, adattamento, sviluppo. Infine la qualità delle relazioni – tra istituzioni, cittadini, imprese, saperi tecnici – sarà decisiva nel determinare la capacità del territorio di reggere le sfide future”.