Barbara Verni è una giovane tredoziese con cui ho fatto amicizia in occasione di varie iniziative culturali che la vedono da sempre in prima fila per mantenere viva l’attenzione verso il suo paese, Tredozio, dove ritorno sempre anch’io molto volentieri perchè vi affondano le mie radici. Barbara tutti i giorni lascia la valle del Tramazzo e scende a Faenza dove insegna ai bambini delle elementari dell’Istituto Comprensivo Carchidio-Strocchi del Borgo Durbecco. Prima di Pasqua mi aveva chiesto se ero disponibile a raccontare ai suoi ragazzi, impegnati in un lavoro di ricerca, come era il Borgo quando io ero bambino e ho accettato molto volentieri. Così, giovedì 4 aprile, sono ritornato nella scuola dove per trent’anni ho avuto a che fare con varie centinaia di alunni che, per mia fortuna, mi hanno sempre dato più soddisfazioni che problemi. Pensavo di dover parlare ad una classe e invece me ne sono ritrovato ben sei già belle pronte nel teatro della Strocchi. Vi ho da dire che l’emozione è stata grande sia per il numero dei ragazzi, sia per la presenza delle loro maestre (Laura Barnabè, Mirka Briganti, Fabiana Dalmonte, Morena Frattini, Daniela Penazzi, Federica Tabanelli e, ovviamente, Barbara Verni) che in gran parte conoscevo già bene perchè le avevo avute come colleghe prima del mio pensionamento nel 2009. Superato il primo impatto con alcuni fraterni abbracci fra colleghi e rotto il ghiaccio con gli alunni, ho avuto la piacevole sorpresa di scoprire che alcuni di loro erano figli o nipoti (da parte di zio o zia), dei miei allievi di un tempo, quindi, come fossi un loro nonno, ci siamo messi a dialogare in un clima di serena collaborazione. Gli ho parlato dei miei primi contatti con la realtà del Borgo, quando ancora non andavo a scuola e da San Biagio mi portavano a Faenza sul biroccino trainato dalla cavalla Dora. Vedevo un Borgo molto più ridotto rispetto a oggi, da Porta delle Chiavi al Sali e tabacchi dla Schèza (a destra) e fino alla via di Sopra e alla Torretta (a sinistra) c’erano le vecchie case, scampate al passaggio del fronte, con negozi e botteghe di artigiani che la gente conosceva soltanto per soprannome. Verso il ponte delle Grazie si alzavano le grandi case popolari appena costruite e c’era un enorme piazzale ghiaiato (attuale piazza Lanzoni) dove per San Lazzaro arrivavano i baracconi.
Nel dopoguerra la mancanza di alloggi costringeva famiglie numerose a vivere in una o due stanze prive di servizi igienici e acqua corrente. Fuori dalla porta e dalle mura le costruzioni erano poche e c’erano subito i campi. Soltanto dopo i primi anni ‘60 il piccolo Borgo si è andato via via trasformando nel grande quartiere che vediamo oggi. Quando ho iniziato a parlare non immaginavo di trovare tanta attenzione da parte dei ragazzi (fra questi molti stranieri) che mi hanno rivolto un sacco di domande pertinenti. Il tempo è volato, la campanella è suonata, ma alcuni avevano ancora qualcosa da chiedere. Bravi dunque gli alunni, ma brave anche le insegnanti che li hanno abituati ad ascoltare e motivati a intervenire. La foto che vedete me l’ha data Aurelio Platani, che ringrazio per aver recuperato anche tanti nomi dei presenti.

Mario Gurioli