«Da dove vieni?». In questi giorni è una delle domande che Lorenzo ha sentito rivolgergli più spesso. Si trova in una cantina buia piena di acqua mista a fango, in una delle vie di Faenza colpite dall’alluvione. A fargli quella domanda è il proprietario, visibilmente riconoscente nel vederlo badile e torcia in mano. «Come sei arrivato fin qui ad aiutare?» chiede ancora. Di preciso non lo sa nemmeno lui. Lorenzo Nigro, da Comacchio, è uno dei giovani propedeuti in cammino vocazionale a Faenza. È arrivato in quella cantina a dare una mano perché gli è stato detto di andare là, perché c’era bisogno.

L’attività dei giovani propedeuti

Un passaparola che a Faenza si diffonde per le vie. Da giorni, con gli altri giovani della Propedeutica, è al lavoro per le strade della città. Convento di San Francesco, Sant’Ippolito, monastero Santa Chiara, scuole Marri e tante case e abitazioni private colpite dal dramma dell’alluvione. Ormai non si fa più caso ai guanti e alle scarpe sporche di quei dodici giovani al lavoro. «Non appena è accaduto tutto questo – racconta Lorenzo – abbiamo cambiato le nostre attività e ci siamo dedicati al dono per gli altri. Questo è un tratto caratteristico del percorso in Propedeutica. E questo uscire fuori a dare una mano assieme ci rende ancora più uniti nel nostro cammino vocazionale».

“Il dramma rimane, ma il servizio cancella molto dolore”

In Seminario, dove risiedono, hanno accolto le suore di Montepaolo e due comunità di giovani fragili. Nelle strade di Faenza hanno toccato con mano il dramma delle persone che hanno perso tutto. «La prima volta dove abbiamo prestato servizio e siamo stati a contatto con il fango è stato al convento di San Francesco. Era in condizioni disastrose – ricorda Lorenzo -. Non dimenticherò mai quel primo impatto: in quel momento mi sono reso conto delle vere proporzioni dell’alluvione, molto più grandi rispetto alla percezione che si aveva guardando le immagini dalla tv o dai social. E in questo contesto come puoi, aiuti – prosegue -: che sia spalare o semplicemente mettersi in ascolto di persone che vivono questo momento di difficoltà. Lo stare con gli stivali sporchi, in mezzo a loro, non è un segnale banale. Quando queste persone vedono qualcuno disposto ad aiutarle, il dramma non sparisce, ma lo si affronta in maniera diversa e con più speranza. Il servizio cancella molto dolore». Così come è stato al convento di San Francesco. «Un frate il primo giorno non sapeva se ridere o se piangere vedendo in che condizioni era la chiesa e non voleva più entrarci – ricorda -. In due giorni di duro lavoro siamo riusciti a riportarla in condizioni accettabili. E quando è finalmente rientrato è rimasto colpito. Ecco da queste cose nascono segni di speranza».

Samuele Marchi

Nella foto Lorenzo è quinto da sinistra con la maglia blu