Una mano tesa da afferrare è l’immagine di questo giugno faentino che ha un suono diverso; non si sentono chiarine, ma i rumori di scavatori e camion. Una mano tesa di chi non solo è pronto a scavare nel fango, ma anche ad ascoltare, a dare spazio alle emozioni di chi è stato colpito direttamente dall’alluvione. Per questo motivo si è attivata subito una rete di psicologi che dal 17 maggio allo scorso lunedì ha effettuato oltre 2mila interventi a Faenza. Ne abbiamo parlato con il faentino Tommaso Ambrosini, psicologo dell’emergenza coordinatore e referente del gruppo Sipem (Società Italiana Psicologia dell’Emergenza) della Protezione Civile che ha messo a disposizione circa trenta psicologi, provenienti da tutta la regione. Insieme ad alcuni psicologi volontari e agli psicologi dell’Ausl hanno operato e operano tuttora sul territorio.

Intervista a Tommaso Ambrosini, psicologo dell’emergenza: “Il senso di un destino comune e la capacità di rialzarsi insieme è qualcosa di costruttivo e terapeutico”

alluvione via ragazzini

Tommaso, quale tipo di supporto è stato ed è messo a disposizione di chi è stato direttamente colpito dall’alluvione?

Sono stati attivati diversi servizi. Nella prima fase emergenziale gli interventi erano quelli dell’Epe (équipe psico-sociale per le emergenze), attiva fino a questi giorni in piazza del Popolo, con uno sportello psicologico aperto alla popolazione. Nei tre centri di sfollamento erano sempre presenti team di psicologi insieme alle assistenti sociali, per dare supporto alle persone alluvionate ora ospitae in hotel. Altri interventi hanno riguardato prevalentemente colloqui domiciliari su segnalazione di forze dell’ordine, servizi sociali, Vigili del Fuoco o Protezione civile. È stato messo anche in atto l’out-reaching, andando fisicamente nelle strade delle aree alluvionate per dare supporto alle persone in maggiore difficoltà, persone con ideazione suicidaria o che non volevano abbandonare la propria casa a rischio crollo. Accanto a questi, sono stati dedicati alcuni servizi ai minori, recandoci nelle aree gioco dedicate ai bambini per svolgere screening sanitario e individuare eventuali reazioni acute o traumatiche. Si sono svolti inoltre alcuni incontri di formazione online per insegnanti dell’Urf su come trattare l’argomento e individuare eventuali reazioni a cui prestare attenzione. Infine il supporto all’amministrazione comunale, confrontandosi con l’area comunicazione e interventi di defusing-debriefing (supposto psicologico emotivo a poche ore dal trauma) con gli operatori dei servizi sociali e i volontari della protezione civile creando gruppi di discussione per prevenire reazioni acute da stress, burn out e post-traumatiche. Lo scopo dei nostri interventi è del resto proprio quello di facilitare l’adattamento e fare prevenzione favorendo l’attivazione delle risorse personali e comunitarie.

Siamo di fronte a un trauma. Quali sono le difficoltà più ricorrenti in chi vi chiede supporto?

Quello che è successo è un evento catastrofico e ha di per sé una natura traumatica. Tuttavia, sulla base delle risorse individuali e comunitarie ognuno ha capacità di adattamento e reazioni diverse. C’è chi ne è stato più o meno colpito. Le reazioni sono tante; la maggior parte di esse rientrano nella normalità. È il caso di sintomi quali insonnia, stati di ansia e di angoscia o momenti di paura e panico, crisi di pianto. Nei bambini si possono osservare episodi regressivi come l’enuresi o il succhiarsi il pollice. Se questi sintomi non perdurano nel tempo e la persona in breve termine ritorna a un equilibrio, si tratta di reazioni normali e funzionali. Gli interventi psicologici in emergenza ristabilizzano le persone colpite riportandole da uno stato di forte attivazione a una condizione più regolata, favorendo l’utilizzo delle risorse naturali personali e comunitarie di ciascuno. Quando invece si riscontrano reazioni psicopatologiche, come dissociazioni, idee suicidarie o scompensi, allora si interviene mediante tecniche di pronto soccorso psicologico, networking con servizi territoriali e trattamenti psicoterapeutici sul trauma.

Quali consigli si possono quindi dare a coloro che hanno vissuto in prima persona questa esperienza e a chi sta loro vicino?

In tanti hanno sperimentato una grande paura, in alcuni casi persino di morire. Il consiglio più importante è quello di non isolarsi, di quel che è successo. Parlare ci aiuta a elaborare le emozioni, a “dare un senso” all’accaduto e riattiva le reti sociali, protettive e quindi importantissime. Può essere utile recuperare le attività personali di cura del sé, dedicando quindi spazio al proprio benessere, svolgendo attività piacevoli, dal semplice riposo alla lettura, allo sport. Nel primo periodo è normale metterle da parte per affrontare concretamente l’emergenza, ma in una seconda fase vanno progressivamente recuperate per recuperare con esse quello stato di sicurezza e normalità che nelle emergenze viene a mancare. La nostra risposta psico-fisiologica al pericolo libera adrenalina e cortisolo, con costi energetici per l’organismo; se questa risposta rimane nel tempo si arriva all’esaurimento, al burn out. Ecco perché servono spazi di recupero fisici o emotivi. Ed ecco anche perché è molto importante la risposta comunitaria locale e nazionale. Mi ha colpito molto, è stata la risposta più importante e protettiva di fronte a questa catastrofe. Il senso di un destino comune e la capacità di rialzarsi insieme è qualcosa di costruttivo e terapeutico.

Letizia Di Deco