Spesso quando si parla di criminalità organizzata si pensa a luoghi lontani, ma non è così. La mafia, la camorra e la ‘ndrangheta in alcuni casi ce le abbiamo sotto casa. C’è un caso recente anche a Faenza, che ha visto un terreno in via Granarolo confiscato alla criminalità organizzata e sul quale ci sono ancora tanti punti interrogativi. E proprio per questo è importante tenere gli occhi aperti, sia come istituzioni sia come associazioni e singoli cittadini. Massimo Manzoli è uno dei promotori del portale mafiesottocasa.com a cura dell’associazione La Banda, che ha l’obiettivo di creare percorsi di legalità e giustizia sociale di contrasto alle mafie in Emilia-Romagna.

Intervista a Massimo Manzoli, curatore del portale mafiesottocasa.com

Manzoli, quando parliamo di criminalità organizzata spesso diamo per scontato di riferirci a qualcosa che interessa solo certe aree del Paese.

Niente di più sbagliato. Si tende ancora a pensare che il tema della criminalità organizzata riguardi solo il sud Italia, ma nella realtà il fenomeno al nord si insinua fin dagli anni ‘60, in particolare quando le persone condannate per vari reati che potremmo chiamare oggi di stampo mafioso (all’epoca il reato di associazione mafiosa non esisteva, ndr) venivano spostati al nord con l’intento di slegarli dal territorio.
Oggi un approccio di contrasto di questo tipo sarebbe sicuramente anacronistico. Di fatto, tra gli anni ‘60 e ‘70 diverse persone legate alla criminalità organizzata, in particolare Cosa nostra, arrivarono nella nostra regione, specialmente nell’area di Sassuolo e Budrio. In Romagna fino agli anni ‘90, Cosa nostra dominava sulle altre sigle malavitose. Lo scenario è cambiato con l’avvento della mafia stragista: lo Stato si è concentrato molto nella lotta a Cosa nostra e in questo modo le altre realtà mafiose, come la ‘ndrangheta e la camorra, hanno avuto più campo libero e oggi sono queste ultime a essere preponderanti.

Su quali attività illegali si sono concentrate le mafie in Romagna?

Le mafie si inseriscono in quelle attività al confine tra il legale e l’illegale. E questo è successo anche in Romagna. Penso soprattutto al settore del gioco d’azzardo. Le bische clandestine in Romagna, negli anni ‘60 e ‘70 erano gestite soprattutto da Cosa nostra. E quando il mercato è stato legalizzato, le realtà mafiose hanno continuato a interessarsene, anche perché parliamo di un fatturato che in Italia supera i 110 miliardi di euro e permette un ampio riciclo di denaro sporco.

Non si occupa però solo di gioco d’azzardo…

Negli anni ‘80 è entrato in scena prepotentemente nel mercato della droga, e oggi le mafie si concentrano sullo smercio redditizio della cocaina. E poi c’è il settore edilizio. Nella nostra provincia abbiamo un caso eclatante. Una notissima azienda di Ravenna ha visto due dirigenti condannati in via definitiva con vicinanza alla mafia. A questa azienda sarebbero arrivati i grandi appalti del sud Italia che, per esempio, le aziende locali non potevano gestire. Questi dirigenti avrebbero poi favorito subappalti a realtà strettamente legate alla criminalità. La mafia non uccide più come trent’anni fa, ma è diventata più imprenditoriale. E come sottolineava Falcone: la criminalità organizzata cerca di insinuarsi là dove fiuta grandi quantità di denaro.

Qual è il quadro in Emilia-Romagna?

L’inchiesta Aemilia, forse il più grande processo riguardante le mafie al nord, ha portato alla luce tante realtà che non si volevano vedere.
Si pensa oggi che ci siano 50 cosche attive solo nella nostra regione. Stando sul ravennate, uno dei casi più noti è quello di Russi, con un’azienda vitivinicola che, secondo l’accusa, avrebbe riciclato denaro sporco ricevuto da fornitori foggiani. Si sono creati forti legami con le mafie internazionali, che procurano bassa manovalanza di origine straniera. Per esempio la ‘ndrangheta fa arrivare la droga sul territorio che poi viene distribuita da mafie straniere. Spesso quando emergono notizie di spacciatori si gioca molto sul razzismo, che ci fa distogliere dal reale problema. L’altro grande ambito è quello della prostituzione.

A livello legislativo cosa si può fare per contrastare questi fenomeni?

Cito un ambito riguardante il settore degli appalti. Se un’azienda del settore edilizio è colpita da interdittiva antimafia (una misura preventiva) non può partecipare a bando pubblico, ma questa informazione non viene divulgata. Se io sono un privato e devo commissionare dei lavori, perché non devo sapere se l’azienda con cui sto contrattando è colpita da questa interdittiva? Questo è un vulnus della legislazione che sarebbe ora di colmare. E fino a qualche anno fa non era nemmeno scontato che gli enti pubblici stessi si parlassero tra loro.

Come difendersi?

Ognuno deve svolgere al meglio il suo ruolo. In primis le forze dell’ordine e le magistrature, che devono essere tecnicamente molto preparate. Penso per esempio ai reati ambientali e al caporalato, su cui c’è una legislazione nuova, difficile da districarsi e su cui non c’è ancora giurisprudenza. Poi serve che le associazioni e i cittadini possano svolgere serenamente la loro attività di segnalazione. A livello italiano abbiamo le migliori leggi in questo ambito, certo ancora migliorabili, ma che rappresentano una buona base. Serve il finanziamento delle strutture di contrasto alle mafie, altrimenti non riusciremo a stare al passo. E gli enti pubblici devono avere al loro interno persone ben formate nello scrivere i bandi d’appalto.

Samuele Marchi