Ricerca e missione si intrecciano quando hanno alla base la volontà di costruire il bene. Questo ciò che sta vivendo in questi mesi la faentina Margherita Cappelli, 25 anni, partita a fine settembre per svolgere un’attività di ricerca post-laurea per l’Università di Bologna presso lo studentato dell’Ami (Associazione Missionaria Internazionale) “Tumaini Letu”, nella città di Mwanza, in Tanzania, sulla costa del Lago Victoria.

Intervista a Margherita Cappelli, ospite allo studentato per ragazze universitarie gestito dall’Ami

Di cosa ti stai occupando a Mwanza?

La mia presenza qui ha due differenti scopi. Il primo è legato all’attività di ricerca per cui quindi approfondisco il tema della mia Tesi di Laurea magistrale in Progettazione e gestione dell’intervento educativo nel disagio sociale. Mi sto occupando di analizzare il concetto di “Welfare di comunità” osservando le dinamiche sociali che caratterizzano lo studentato, inserito in un contesto profondamente diverso da quello italiano, e di studiare le strategie educative adottate dalle missionarie nei confronti delle ragazze accolte. Infatti qui a Mwanza, AMI supporta 17 ragazze universitarie, che vivono assieme alle missionarie, e 10 ragazze liceali che tornano in studentato per i periodi di vacanza o per malattia, perché spesso non hanno un’altra casa. Il clima è molto familiare: le ragazze, tra cui diverse orfane, condividono le stesse difficoltà economico-sociali. Biografie diverse ma cicatrici simili e un comune desiderio di riscatto sociale, le hanno portate ad instaurare un rapporto fraterno, alimentato dal sostegno e affetto reciproco. Sono davvero una forza della natura! Inoltre cerco di essere di supporto al lavoro delle missionarie e dei volontari presenti, mettendomi a disposizione per ogni compito richiesto in base alle urgenze e alle necessità quotidiane.

Qual è una tua giornata-tipo

Non esiste una “giornata tipo”, considerando i tanti e differenti servizi che AMI svolge nella comunità, spesso anche imprevedibili. Ogni giorno ho l’occasione e la fortuna di poter osservare tante sfaccettature di questo delicato contesto sociale, vivendo esperienze sempre diverse. Nelle scorse settimane, ad esempio, ho avuto la possibilità di conoscere il Centro di cura per malati di AIDS gestito da AMI a Bukumbi; visitare a Mitindo la struttura che accoglie bambini albini; accompagnare le ragazze nei diversi distretti di Mwanza per le pratiche universitarie o visite mediche; fare attività con i bambini accolti al Centro “Shaloom youth centre-care house”; partecipare a cerimonie ed eventi locali.

Tra esperienze formative e ingiustizie sociali

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Sabato 12 novembre 2022, si è svolta la cerimonia di Laurea dell’università di Bugando, a Mwanza, dove 4 studentesse, tra quelle sostenute dall’AMI, si sono laureate.

Come sta andando la tua esperienza?

A poco più di un mese dall’inizio di questa esperienza, posso dire che sta andando molto bene perché mi sta coinvolgendo e al contempo sconvolgendo, come speravo. Il desiderio con cui sono partita era proprio quello di riuscire a inserirmi il più possibile nelle dinamiche di questo paese e di immergermi nella quotidianità dello studentato. Vivere in questo luogo, che ospita e supporta ragazze in difficoltà nella loro crescita personale e professionale, mi ha permesso di conoscere ed imparare sin da subito, anche se questo ha significato dover affrontare situazioni spiacevoli e essere testimone di ingiustizie sociali. È sicuramente un’esperienza molto formativa, in campo professionale e umano, perché ogni giorno posso osservare il grandissimo e virtuoso lavoro che svolge AMI con cura e dedizione per questa comunità. Nonostante le precedenti esperienze di volontariato a Betlemme e in Libano, riconosco che ogni viaggio porta nuova linfa e consapevolezza. E’ edificante fare queste esperienze spostandomi anche geograficamente; mi aiutano a conoscermi, rendermi conto di quanto siamo interconnessi e a guardare la mia realtà sotto una nuova prospettiva. Sono processi che spesso creano un senso di instabilità, ma mi ritengo fortunata a poterli vivere perché mi incentivano a fare scelte responsabili, nel mio quotidiano, per favorire l’equità.

Quali sono le difficoltà più grandi e quali i segnali positivi?

Per ora l’idea che mi sono fatta è che qui è “tutto tanto”. Mi spiego meglio: se da una parte il livello di accoglienza, il senso di comunità, la capacità di resilienza, l’apertura interreligiosa, la costante curiosità e l’energia che si percepisce è travolgente e ti ammalia e riempie di Bellezza; dall’altra parte le problematiche e ingiustizie sociali sono a livelli altissimi e quindi di conseguenza anche la frustrazione che si prova nel notarle e viverle. Al momento i grossi disagi sono dati dalla siccità. Infatti, annessa alle attuali dinamiche e situazioni internazionali, l’assenza d’acqua ha comportato l’innalzamento dei costi degli alimenti considerando l’impossibilità di coltivare. Si è creato così uno stato di povertà sempre più dilagante per mancanza di lavoro e di cibo. È molto impattante sapere di condividere la tavola con coetanee che prima di entrare in studentato erano costrette a mangiare a giorni alterni o che hanno problemi di malnutrizione.

“Un’esperienza che coinvolge e sconvolge”

margherita cappelli ami

Qual è l’immagine che finora ti è rimasta dentro e che potrebbe racchiudere il significato di questa esperienza?

Sono tante le immagini che mi tornano alla mente, ma una in particolare riesce a racchiudere il significato e l’essenza di questa esperienza. Dopo poche settimane dal mio arrivo, mi sono recata a Kalwande per far visita agli anziani ospitati presso l’ex lebbrosario (un servizio di volontariato che le missionarie svolgono insieme ai volontari e alle ragazze dello studentato). Non è un centro di cura, ma un complesso formato da camerate in cui alloggiano anziani malati abbandonati a loro stessi. Questa situazione comporta mancanza di cura personale, tanta sporcizia, nessun tipo di compagnia o riabilitazione prevista. È spiazzante vedere persone così fragili in quelle difficili condizioni. Mi sono chiesta che vita potesse essere la loro se si basa, ogni giorno, quasi esclusivamente sulla sopravvivenza. Proprio mentre riflettevo su questo un’anziana semi-paralizzata, stesa su un vecchio materasso appoggiato a terra, con un sorriso disarmante mi ha salutato, dicendomi in kiswahili “noi ci siamo e ti accogliamo”. È stato davvero commuovente perché mi ha distolto dal pensiero che mi faceva sentire impotente vista l’enorme situazione di degrado. Mi ha ricordato che in primis ciò che conta nel servizio è la disponibilità a esserci per l’altro, la volontà di creare una relazione anche profonda, la capacità di essere accoglienti e fraterni mettendo al centro l’umanità della persona e poi le sue condizioni di vita. Le abilità e le competenze sono sicuramente necessarie, ma è l’incontro reciproco ad essere il primo strumento lungimirante ed edificante, poiché permette a tutte le persone coinvolte di stare meglio e porsi sullo stesso piano.

Quale sarà la prima cosa che farai appena tornata a casa?

Oltre a preparare il report sull’attività di ricerca per l’Università di Bologna, credo che la prima cosa che farò al mio ritorno sarà continuare a raccontare le mie considerazioni e quello che ho visto e vissuto, poiché credo fortemente nell’efficacia della condivisione come strumento di confronto, crescita e riflessione reciproca. Mi prenderò anche del tempo per metabolizzare e riflettere, così da riuscire a cogliere tutti i frutti, utili sicuramente per la mia crescita personale e professionale, che quest’esperienza così intensa e ricca mi ha dato. Spero che, una volta tornata a Faenza, ad attendermi ci sarà anche una bella pizza, anche se so già che mi mancherà il gusto dei manghi e della papaya coltivati nel giardino dello studentato.

Letizia Di Deco