«Ed ecco alcuni uomini, portando su un letto un uomo che era paralizzato, cercavano di farlo entrare di metterlo davanti a Lui. Non trovando da quale parte farlo entrare a causa della folla, salirono sul tetto e, attraverso le tegole, lo calarono con il lettuccio davanti a Gesù, nel mezzo della stanza. Vedendo la loro fede, disse: Uomo, ti sono perdonati i tuoi peccati…».

Questo episodio riportato nel vangelo di Luca e nel vangelo di Marco, presenta un aspetto peculiare ed originale relativo a una persona sofferente. Usualmente quando si parla di un malato, si è concentrati col pensiero e la preghiera sulla persona inferma; la vicenda del paralitico apre in realtà la scena e dilata la prospettiva ed invero risulta essere strettamente legata e coesa alla vicenda degli accompagnatori che sostengono, aiutano e conducono il malato all’incontro con Cristo.  Essi sono così coinvolti che, a uno sguardo grandangolare, fanno corpo unico, un insieme, sofferente ed accompagnatori, tutti posti all’interno di uno sforzo comune.

Si possono immaginare la fatica, lo zelo, la frenesia e la costanza e la tenacia di questo gruppo di volontari che intendono portare questa persona al cospetto del Signore, perché questo è il desiderio del malato, ma verosimilmente è anche il loro, vedere da vicino il Signore che guarisce i malati e annuncia la salvezza. E’ un desiderio collettivo di gruppo! Questo desiderio comune produce una forza e una determinazione che il singolo non può avere. La folla è tanta, bisogna farsi sotto, suscitare proteste e reazioni, giungere alla porta e capire che non è possibile entrare e allora che fare? Fermarsi e tornare indietro?  Giammai!

Si può salire sul tetto, trascinando questa barella malferma su cui giace un paralitico stralunato e stupito. Che fatica giungere sul tetto, ma ne valeva la pena.  Il successo di questa prima fase dell’impresa aumenta aspettative e determinazione. Il tetto è lì, fatto di tegole e di legno. Bisogna scoperchiarlo poggiandosi sui muri che lo circoscrivono. Fatto anche questo!  Le facce! Di quelli di fuori, di quelli di dentro, il volto del Signore che è lì sotto e ti guarda divertito ed ammirato, forse sorride, forse è stupito anche lui, stupito ed ammirato per la forza e la tenacia di questo gruppo. Il paziente viene calato giù, di fronte al Signore che salva. «Uomo, ti sono perdonati i peccati!» e questa frase liberante è per il malato e per ciascuno dei suoi compagni e da qui sorge la guarigione fisica come evoluzione naturale per questa fede così tenace.

Pertanto, se festeggiamo la giornata del malato, dobbiamo festeggiare con lui anche le persone che lo seguono e lo assistono.  La festa del malato quindi può diventare la festa del gruppo che gli è vicino, insieme a lui. Preghiamo allora per il malato e per le persone che si occupano di lui per umana simpatia e per spirito di servizio. Emerge in ogni caso la centralità del Signore Gesù, seduto in mezzo agli uomini che lo ascoltano, lo pregano e sperano da Lui il messaggio liberante. Il Signore è sempre al centro, si accorge, si fa trovare, interpella ciascuno sia chi è in barella sia chi gli sta vicino: «Cosa cerchi? Cosa desiderate?».

La malattia per questo si trasforma e da stato personale di fatica e di prostrazione diventa luogo e percorso privilegiato per giungere all’incontro con Lui, insieme, tutti assieme. Per tutto questo è doveroso pregare e sostenere i malati insieme a chi li aiuta e a chi li ama, perché tutti insieme compiono un cammino comune.

Il pensiero va allora a tutti coloro che stanno vicino ai malati, i parenti i compagni, gli amici, i volontari e soprattutto i cosiddetti caregiver cioè le singole persone che si fanno carico della continuità dell’assistenza. La preghiera e il sostegno di tutti e la riconoscenza devono essere un atteggiamento riconosciuto da parte di tutta la comunità. Il malato nella propria sofferenza trova senso e conforto dai tanti gesti di affetto e vicinanza. Un abbraccio, da solo, è capace di lenire il dolore e portare sollievo tramite la produzione di endorfine endogene, come è stato dimostrato.

La mancanza di questi gesti e premure, la scomparsa del calore ed affetto come accade ora, in tempo di pandemia è per il malato un grave danno psicologico e fisico.

Preghiamo e speriamo che giungano tempi nuovi e, finalmente, sereni.

Angelo Gambi