Una settimana di servizio totalizzante, densissima di esperienze e di scoperte. E tanto altro ci sarebbe da raccontare. Una settimana in cui forse abbiamo più ricevuto che dato. Nel nostro cammino di formazione e discernimento all’interno della Comunità Propedeutica di Faenza, il ritmo abbastanza regolare viene sospeso talvolta per immergersi in un contesto diverso e mettersi a servizio di una realtà con fini caritativi. Rientra in questo genere di iniziative l’esperienza della settimana di servizio in Albania che dal 7 all’11 aprile ha visto tutta la nostra comunità trasferita a Berat presso la fraternità locale dei monaci provenienti dalla Piccola famiglia dell’Assunta di Monte Tauro.
È stata la loro conoscenza presso la casa madre in diocesi di Rimini nell’estate del 2024 a creare un punto di collegamento con la loro missione in Albania e specialmente la presenza di don Paolo Marasco, originario di Taglio Corelli nella diocesi di Faenza-Modigliana, che da tanti anni è membro della comunità monastica. Senza sapere molto altro, ma con tanta curiosità ed entusiasmo per l’inatteso che ci attendeva, siamo atterrati a Tirana dove don Paolo ci ha dato il benvenuto.

Il ritmo della comunità

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Giusto il tempo di cambiare i nostri soldi nella valuta locale (da euro in lek) e siamo partiti col pulmino verso Berat, distante circa due ore di strada. Arriviamo giusti per l’ora di cena al “monastero”, sito nel quartiere popolare di Uznova dove troviamo ad aspettarci tutta la comunità composta, oltre che da don Paolo, da tre consacrate (suor Micaela, suor Monica e suor Paola), un consacrato, fra Dominiko, un aspirante, Franko e da tre ragazzi con disabilità adottati (Nicola, Daniela ed Heroina). La vita della fraternità è molto densa e noi ci siamo immersi in tutte le sue sfaccettature rigorosamente scandite dalla preghiera e dal servizio. La mattina ci si alza presto: alle 5.30 si prega l’Ufficio delle letture. Il modo di pregare della comunità è molto singolare poiché non segue il classico schema del Breviario e non si utilizza il consueto ciclo delle letture della messa. Terminata la preghiera si va in refettorio per la colazione. Di lì poi ciascuno si dirige verso la propria attività del la giornata. Alle 13 viene servito il pranzo (a cui spesso abbiamo contribuito anche noi in cucina) e al pomeriggio si riprendono le attività. Alle 18 ci si riunisce tutti per la lectio divina e poi si canta il vespro. Subito dopo ci si dirige in sala comune dove assieme ai ragazzi con disabilità si recita il rosario e poi si cena intorno alle 20. Spesso dopo cena c’è un’attività comunitaria di svago a cui segue la compieta.

Tra la malavita, i segni di carità

Tre sono le occupazioni principali della fraternità: il servizio per i disabili al centro diurno di Uznova, la cura pastorale e il doposcuola pomeridiano della parrocchia di Kucova (villaggio a qualche chilometro da Berat) e la visita alle famiglie povere e agli ammalati nelle loro case per portare viveri e beni di prima necessità. Sono tutte iniziative caritative che vanno incontro alle esigenze del territorio che è caratterizzato da indigenza, basso grado di istruzione e quasi inesistente assistenza sociale da parte dello stato, il che contribuisce al dilagare della malavita e della corruzione. L’esperienza che certamente è stata tra le più impattanti e immersive per tutti è quella delle visite presso le case, specie nei villaggi e nella campagna. Ci ha sorpreso che nel cuore dell’Europa, a poche miglia dall’Italia, si sia conservato un modo di vivere semplice e povero che non è troppo diverso da quella che poteva essere la nostra società rurale fino al secondo dopoguerra, dove però la qualità della vita è molto bassa e le condizioni igienico sanitarie sono precarie e i diritti delle persone povere (ancora di più per le donne e i disabili) non sono garantiti dalla società.

Grati al Signore

Toccare con mano queste realtà, essere accolti come ospiti graditi nelle loro umilissime abitazioni, condividere un caffè d’orzo o anche solo una caramella, ascoltare le loro testimonianze di scoperta della fede, di gratitudine al Signore per avere chi li sostiene nonostante tutto, ci ha aperto una finestra su quanto sia importante la missione della Chiesa di annunciare Cristo fra tutte le genti. Tante volte “solo” riconoscere la dignità di una persona e portare una Speranza ridona la forza di vivere e il coraggio di affrontare le situazioni più dure. E i frutti si vedono! Abbiamo avuto anche la fortuna di ascoltare le testimonianze di un gruppo di ragazzi da poco battezzati, cui l’incontro con i fratelli della comunità ha permesso loro di scoprire la fede e di iniziare a vivere da cristiani nel proprio contesto quotidiano, pur esposti allo scherno della società, dei coetanei e spesso anche della famiglia di provenienza. Essere cristiani praticanti non è ben visto. È una cicatrice ancora visibile lasciata dal vecchio regime comunista il fatto che gran parte della popolazione non professa alcuna religione, anche se si conserva la memoria nella propria famiglia di origini cristiane (ortodosse) o islamiche. È questa una delle ragioni della presenza di questa piccola comunità religiosa missionaria: essere segno vivo della presenza della Chiesa Cattolica nel Paese. Un’esperienza per cui possiamo ritenerci privilegiati è stata infatti quella dell’incontro col parroco ortodosso della Cattedrale di San Demetrio, assieme a sua moglie e al suo bambino, e dell’imam della “moschea de Re” con cui ci siamo confrontati sul modo di vivere la fede nell’Unico Dio. Certamente ci sono risaltate le differenze, specie nel culto e nella pratica religiosa, ma non senza la sorpresa di scoprire quanti punti in comune legano la nostra fede e la loro. Siamo partiti per offrire il nostro servizio in terra di missione e siamo rientrati arricchiti della testimonianza delle persone incontrate e nutriti dalla loro fede semplice ma viva e operante. Una settimana da cui possiamo trarre frutto anche come comunità.
E questa è una delle grazie più belle concesse a chi vive nella Chiesa: sapere di essere fratelli nell’unico Signore, in qualsiasi parte del mondo ci si trovi, nella propria diversità e unicità e avere sempre qualcosa da poter dare e da poter ricevere gli uni dagli altri. E già la presenza, esserci, è il dono più grande che si possa fare.

Nicola Norìo