Elisa Arcangeli, 42 anni, ex cestista di serie A, due anni fa ha scoperto il baskin e oggi fa l’allenatrice. Il baskin è lo sport inclusivo per eccellenza: ispirato al basket, permette di far giocare assieme atleti con disabilità e normodotati, in un contesto di sana competizione nella quale ogni elemento della squadra è importante. A Faenza questo movimento è molto cresciuto negli ultimi anni.

Intervista a Elisa Arcangeli, ex cestista di serie A e allenatrice di baskin


Arcangeli, cos’è per te il fair play?

Per me è sinonimo di inclusione. Ho sempre giocato con ragazze che provenivano da tutto il mondo e che avevano culture diverse dalla mia, quest’esperienza mi ha portato una ricchezza immensa. Purtroppo quando giocavo a basket erano molto diffusi gli insulti razziali e il diverso non veniva accettato. La mia squadra su questo aspetto è sempre stata molto unita, dentro e fuori dal campo. Abbiamo sempre cercato di integrare e proteggere quelle compagne che subivano episodi di razzismo. Perché quello che contava era il cuore, non l’etnia.

Il baskin come porta avanti i valori del fair play?

Baskin è fair play allo stato puro. Insegna che, anche se non si vince, perdendo s’impara di più. Senza fair play il baskin non può esistere, perché l’essenza del baskin è mettere da parte il proprio orgoglio per far giocare al meglio le persone con disabilità proprio perché l’obiettivo è farli crescere. Noi, normodotati e non, ci diamo degli obiettivi da raggiungere per migliorarci. Ad esempio, un ragazzo che non riesce a correre ha l’obiettivo in un anno di correre, l’anno successivo quello di palleggiare e quello dopo ancora di tirare. Questo perché lo scopo, al dì là delle difficoltà che uno ha, è quello di migliorarsi sia come giocatore che come persona.

Come il baskin ti ha cambiato?

Ho imparato ad amare la disabilità dentro il campo da basket nel 2021 e dopo un anno e mezzo sono diventata allenatrice. Il mio obiettivo oggi è quello di azzerare la competitività, perché da ex giocatrice sono stata molto competitiva e impulsiva. La mia evoluzione è stata quella di voler continuare a far parte di quel campo da basket, ma con un altro ruolo, quello di allenatrice, che si adatta meglio alla maturità che negli ultimi anni ho raggiunto, soprattutto dal punto di vista della pazienza.

Mattia Bandini