Il centro storico di Faenza ha assistito a un preoccupante calo delle attività commerciali. Secondo i dati della Camera di Commercio di Ravenna, il 2022 si è chiuso con un saldo negativo di 26 imprese nel commercio e di 12 nel turismo in tutta la provincia. Allargandoci alla nostra regione, solo nel 2023 sono ’spariti’ una media di tre negozi al giorno. Colpa dell’e-commerce, dei centri commerciali, dei soldi in tasca, che sono sempre meno, ma anche dei ritmi frenetici. Con un click si può comprare qualunque cosa dal divano di casa e pazienza se i corrieri inquinano, gli imballaggi aumentano e i negozi abbassano le saracinesche. Sono tante le attività scomparse dal centro storico faentino, ma c’è chi resiste e chi, al contrario, investe aprendo nuove attività. Merito della qualità, di una tradizione che tiene e di una capacità di reinventarsi, unendo presenza fisica e digitale.

Scipi: “A Faenza il tessuto tiene”

Sebbene la vendita online sia spesso presentata come un’opportunità di sviluppo, i dati raccontano un’altra storia: «Negli ultimi dieci anni, 140mila negozi di vicinato in Italia hanno cessato l’attività – spiega Sergio Scipi presidente di Ascom – con conseguenze drammatiche soprattutto nei centri storici. Cosa che si è verificata anche da noi, anche se il tessuto tiene. Il fenomeno non ha toccato il settore della ristorazione, che teme meno l’e-commerce. In centro abbiamo tante attività floride e anche aperture recenti». Scipi sottolinea i rischi di una crescita incontrollata del commercio online: «I guadagni delle piattaforme digitali spesso finiscono altrove, senza ricadute sul territorio. Il risultato è che i centri storici si svuotano e si perde quel valore aggiunto, dato dalle relazioni umane e dalla possibilità di toccare con mano i prodotti. Molti commercianti stanno integrando la vendita fisica con piattaforme digitali, ma il negozio deve rimanere il punto di riferimento principale. Un cliente che può vedere, provare e confrontarsi direttamente con il commerciante è un cliente più soddisfatto». Alcuni settori, come l’abbigliamento, l’elettronica e gli articoli turistici, sono particolarmente esposti alla concorrenza online. «Un tempo trattavo anche molto materiale fotografico – racconta Scipi, che oggi si occupa di ottica -.Il settore della fotografia è stato uno dei primi a essere travolto dall’e-commerce. Da cinque dipendenti siamo passati a tre. Anche gli occhiali da sole e le lenti a contatto subiscono la concorrenza del digitale, ma almeno qui il rapporto personale con il cliente fa la differenza». Secondo Scipi, il problema non è solo legato all’e-commerce, ma anche a difficoltà strutturali: «I centri storici devono essere più attrattivi e accessibili. Parcheggi difficili da trovare, costi di acquisto delle case troppo elevati, specie per le coppie giovani. Servono politiche mirate per agevolare il commercio locale».

Venturi (Confesercenti) “Se i negozi chiudono il centro perde la sua identità”

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Chiara Venturi

Per Chiara Venturi, direttrice di Confeserecenti, c’è anche un problema sociale: «Quando un negozio chiude, il centro storico perde un pezzo della sua identità. I negozi di vicinato non sono solo luoghi di vendita, ma punti di riferimento per la comunità, specialmente per le fasce più fragili, come anziani e persone sole, senza contare che si basano su un rapporto di fiducia». Durante il periodo Covid i negozi di prossimità hanno svolto una funzione essenziale di presidio del territorio «perché erano l’unica alternativa possibile sia nelle relazioni, sia nella fornitura di beni di prima necessità, una cosa di cui fare tesoro – spiega Venturi –. Resta anche da capire qual è la reale percentuale di gradimento degli acquisti online e quali i numeri dei resi. Uscendo da un negozio di vicinato la soddisfazione è al 100 per cento e questo può non accadere con un pacco che arriva con un corriere». La direttrice di Confesercenti richiama anche l’attenzione sull’impatto ambientale e sulla sostenibilità del commercio digitale. «I corrieri che attraversano i centri storici ogni giorno, interdetti alle auto, gli imballaggi prodotti per le spedizioni: tutto questo ha un costo ambientale a cui non si pensa quando si fa un acquisto online, che isola. Una passeggiata in centro, uno sguardo alle vetrine, due chiacchiere con un amico, un caffè al bar sono un patrimonio umano insostituibile».


Barbara Fichera

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