È tutto vero. Da Parigi, Carlotta Ragazzini è tornata con una medaglia al collo. Il metallo è bronzo, ma il suo valore va ben oltre. Rappresenta sacrifici e ore e ore di allenamenti attorno al tavolo da ping pong, ma soprattutto la passione per questo sport e il non mollare mai di fronte alle difficoltà. «Ogni volta che guardo la medaglia, ripenso a tutto il percorso che mi ha portato a Parigi a vivere un sogno» commenta con soddisfazione la 22enne faentina al rientro dalla prima esperienza ai Giochi. Il suo cammino nel tennistavolo è arrivato fino alle semifinali, sconfitta 3-1 dalla sudcoreana Yoon, numero uno al mondo. Un percorso esaltante, ricco di emozioni: la sofferta vittoria agli ottavi per 3-2 con la turca Durman e il più netto successo 3-0 ai quarti con la croata Karic che ha significato medaglia certa. Gentile e pacata nei modi, sguardo concentrato sulla pallina e le mosse dell’avversaria, Ragazzini possiede però forza, determinazione e autocontrollo insospettabili, come dimostrato durante queste sfide che l’hanno portata a coronare il suo sogno a cinque cerchi. Ripercorriamo questo percorso con lei, appena rientrata in Italia.

Intervista a Carlotta Ragazzini: “Parigi 2024 un’esperienza straordinaria. Il tifo nei palazzetti era impressionante”

cartlotta ragazzini

Ragazzini, cosa ha significato partecipare alle Paralimpiadi?

È stata una bellissima esperienza, ma lo sarebbe stata anche senza medaglia. Tutto il cammino sportivo che ho fatto in questi anni mi ha portato a questi Giochi. Sono partita da Faenza con il proposito di godermi al massimo Parigi 2024. E in quei 17 giorni ho vissuto di tutto, l’organizzazione è stata fantastica. Era incredibile allenarsi in una palestra che dava la vista sulla Tour Eiffel. Poi ovviamente, sono andata a queste Paralimpiadi per vincere, ed ero concentrata su di quello con l’obiettivo di tornare a casa con un buon risultato.

Come è stato rompere il ghiaccio delle partite?

L’ho capito nella prima gara che ho disputato, quella nel doppio misto. In quel palazzetto gigantesco avevamo attorno 6mila persone che facevano un tifo clamoroso, specie quando c’erano atleti francesi. Facevo fatica a sentire quello che dicevano le persone attorno a me. È stato un impatto forte. Con Federico Crosara abbiamo perso al primo turno, ma è stata una gara utile per capire il clima di gioco.

Poi è arrivata la sfida con Duman, forse uno dei momenti più difficili.

Sapevo sarebbe stata una partita complicata. Ci siamo già affrontate in passato, ci conosciamo e sappiamo i nostri punti deboli e di forza. L’ultima partita giocata assieme avevo perso e avevo una gran voglia di rivincita.

E sei partita alla grande.

Arrivo a 2 set a 0, nel terzo sono in vantaggio, poi sono andata in confusione. È così: le partite possono cambiare nel giro di due secondi. Lei ne ha approfittato portandosi sul 2-2 e al quinto set è andata avanti lei. La mia allenatrice allora ha chiamato un time-out, mi ha dato qualche consiglio: “non pensare troppo”, e da lì sono ripartita. È stata una vera battaglia, alla fine ce l’ho fatta 11-9. Più agevole è stata la gara dei quarti di finale. Anche qui, anche se non lo facevo trapelare, un po’ di nervosismo c’era: era la partita che valeva una medaglia. Alla fine è andata liscia 3-0. Per cinque minuti non ho capito più niente. Ero davvero emozionata, e per me è una rarità far trapelare le mie emozioni, di solito le tengo sotto controllo. Ma lì ero veramente contenta.

E poi è arrivata la semifinale.

Sapevo che sarebbe stata una partita difficile. Non ho mai vinto contro di lei, ma volevo giocarmi tutte le mie carte. È stata una bella partita, equilibrata, e sono felice di come ho giocato. Anche la mia allenatrice ha detto di essere orgogliosa di me: “hai messo in campo tutto quello per cui abbiamo lavorato in questi anni”. Non ho rimpianti, ora ci godiamo questa medaglia.

Oltre la medaglia, cos’altro porti nel cuore di questi Giochi?

Condividere questa vittoria con le altre persone. Penso ai miei compagni di squadra con cui mi alleno al centro federale di Lignano Sabbiadoro. Siamo molto affiatati, viviamo praticamente insieme tutto l’anno, e c’è un profondo legame di amicizia. Penso alla mia famiglia, che è venuta a Parigi a vedermi a giocare e a fare il tifo per me, e senza il loro supporto non sarei mai arrivata fin qui. Mi hanno lasciato libera di scegliere questa strada. Così come ringrazio tutte le persone che mi seguivano da casa e che mi scrivevano, ho sentito tutto il loro supporto.

Il ping pong scoperto durante il ricovero nell’unità spinale a Montecatone: “Da lì non ho più smesso di giocare”

Paralimpiadi di Parigi 2024 Carlotta Ragazzini in semifinale contro Yoon Jiyu

Quanto ti alleni al centro federale? Cosa migliorare per il futuro?

Mi alleno almeno venti giorni al mese con 6 ore al giorno (tre al mattino e tre al pomeriggio). Una mia particolarità è il fatto di girare la racchetta durante i punti. Esistono infatti diversi tipo di gomma, io ne utilizzo una liscia e una puntinata, che danno effetti diversi alla pallina e ho questa abilità durante le partite. Di cose da migliorare, per fortuna, ce ne sono tante. Ho molti margini di miglioramento e con gli allenamenti partiremo da lì. Le prossime sfide saranno gli Europei dell’anno prossimo i mondiali del 2026 in Thailandia. Voglio migliorarmi.

All’origine della tua disabilità c’è un cavernoma intramidollare insorto a 18 mesi, poi tornato a crescere a 4 anni, e nel 2015 è arrivata la carrozzina. Nonostante tutto questo, sei arrivata fino al bronzo paralimpico. Sei un esempio per i giovani?

Non lo so. Spero però che quello che faccio possa avvicinare altri allo sport e allo sport paralimpico. Io l’ho scoperto quasi per caso, nei primi giorni durante un ricovero in ospedale a Montecatone. Sentivo il rumore della pallina in un’altra stanza, e sono andata a vedere. Da lì ho iniziato a giocare e, di fatto, non ho più smesso. Ancora oggi, anche se lo pratico a livello agonistico, la passione è la stessa di allora. Per la mia vita è stata una scoperta importante, allenarmi e giocare a ping pong mi rende felice e mi ha aiutato tanto. Ripenso a me da piccola, quando non volevano farmi fare educazione fisica a scuola, e ai giorni scorsi, quando ero in diretta su Rai2 a lottare per una medaglia. Sembrano due vite diverse. Ecco, se anche solo qualcuno si avvicina allo sport grazie a me, sono contenta.

Samuele Marchi