Quando la strada non c’è, inventala. È con il tipico stile scout che è stato possibile realizzare un appuntamento unico nel suo genere, la Route nazionale, un percorso dell’Agesci che ha visto coinvolti oltre 18mila capi a Verona dal 22 al 25 agosto e che proseguirà nei prossimi mesi mettendo a frutto esperienze, stimoli e incontri ricevuti. Dal messaggio del Papa all’incontro con Ciotti, dalle note di Morandi e Vecchioni a laboratori creativi a momenti di servizio per il bene comune: l’obiettivo ora è far sì che tutte le esperienze condivise generino frutti sui territori «passando dai piedi», anche nella nostra Diocesi. Tra gli organizzatori di tutto il percorso legato alla Route nazionale, che ha festeggiato anche i 50 anni dell’associazione, c’è anche il faentino Francesco Bentini, responsabile di Zona Ravenna-Faenza, che è stato inoltre uno dei conduttori delle serate.
Intervista a Francesco Bentini: “La sfida era altissima, e l’abbiamo affrontata mettendoci tanta passione”
Bentini, al rientro a Faenza, che bilancio trai da questa Route nazionale?
È stata una delle avventure più belle della mia vita, perché ho avuto modo di portare il mio contributo a un gioco veramente grande che aveva un obiettivo altissimo: generare felicità. E questo in un momento storico in cui tutto quello che ci è attorno, invece, ci lancia messaggi diversi, di disillusione. Viviamo in un tempo complesso da decifrare, e la Route nazionale ha avuto il merito di darci una spinta a trovare delle chiavi di letture positive sul nostro mondo, ottimiste nel senso non banale del termine.
E invece l’Agesci cosa porta a casa?
La chiamata a ciascun capo a ribadire il proprio “Eccomi” nel servizio. Al centro dello scoutismo ci sono i nostri ragazzi, e al loro fianco devono esserci testimoni felici e credibili. L’evento di Verona non aveva come obiettivo quello di prendere, in breve tempo, decisioni strategiche o proporre documenti di sintesi per l’associazione. Fa parte di un percorso più ampio pensato per essere generativo di nuove domande e nuove risposte, per rimettere l’educazione al centro del nostro mondo. È soprattutto dall’educazione che passa un reale cambiamento della società.
Come è stato condurre le serate sul palco con di fronte a quella marea di camice azzurre?
Ogni volta che in quelle 18mila persone di fronte a me percepivo generarsi un sentire comune provavo un’emozione unica. La mia preoccupazione sul palco non era tanto quella di non sbagliare o non fare errori, ma che i contenuti che avevamo selezionato e scritto potessero risuonare tra tutti i partecipanti e lasciare loro qualcosa. Era questo l’importante. Penso per esempio alla veglia che abbiamo vissuto il venerdì sera. Non era facile creare il clima giusto, con così tante persone, eppure si è respirata un’atmosfera unica che ogni capo ha vissuto come protagonista.
Nelle serate avete coinvolto tanti ospiti: Gianni Morandi, Roberto Vecchioni, Roberto Mercadini…
In generale abbiamo cercato di proporre serate dai colori e registri diversi, in un contesto di riflessione ma anche di leggerezza e divertimento condiviso. Abbiamo ascoltato riflessioni, pregato, condiviso testimonianze, cantato assieme.
“Razionalmente, solo con l’aiuto di volontari penseresti sia impossibile organizzare eventi di questo tipo. Abbiamo tracciato strade nuove”
Nel complesso di questa Route, qual è stata la cosa più difficile?
Costruire una proposta significativa, ma conviviale, che rimanesse fedele allo stile scout all’interno di un evento gigantesco che mettesse al centro anche la sostenibilità. Dal punto di vista logistico e burocratico razionalmente ti fermeresti e diresti che è un evento impossibile da realizzare con il contributo solo di volontari. Lo staff organizzativo era composto da circa cento persone, e abbiamo cercato di superare questa sfida con lo stile scout che ci contraddistingue. Abbiamo dovuto tracciare strade nuove rispetto altri eventi fatti in passato, trovare nuove soluzioni.
E gli imprevisti, comunque, non sono mancati.
Dopo due anni che organizzavamo l’evento una direttiva del Comune di Verona ci ha poi obbligato a cambiare l’assetto logistico della Route, come per esempio trovare nuovi terreni per le tende in cui ospitare i capi e lo spazio eventi. Se già era complicato prima, abbiamo poi dovuto riorganizzare il tutto in un mese e mezzo.
E come ce l’avete fatta?
L’impresa è stata possibile perché ogni volontario era spinto da un’enorme passione. Oltre allo staff organizzativo, hanno prestato servizio nell’organizzazione circa mille persone. Ecco, ogni minuto del proprio tempo libero è stato speso per il bene degli altri, per non fare perdere l’entusiasmo con i quali i partecipanti hanno risposto alla chiamata della Route. Ed è una grande soddisfazione esserci riusciti.
Cosa migliorare per il futuro?
Una delle sfide di oggi è ripensare l’associazionismo e il volontariato in funzione di trovare risorse economiche che permettano di realizzare eventi di questo tipo. Vanno costruite relazioni di fiducia, ed è importante come scout essere inseriti nella società per realizzare progetti comuni.
Sono stati giorni intensi a livello logistico-organizzativo. Hai avuto modo di parlare con gli altri capi partecipanti? Quali loro storie ti hanno colpito?
Ce ne sono una marea. L’ultimo giorno, a Route conclusa, mentre stavamo smontando il campo, ho incontrato un capo di Bari lungo una strada lontana dai nostri soliti percorsi. Gli ho dato un passaggio in auto: era andato da solo a portare a termine la proposta di servizio che avevano lasciato a metà nel tempo a disposizione (durante la Route, infatti, i capi scout hanno dedicato mezza giornata a un’attività di servizio a Verona, in varie realtà loro indicate, ndr). Voleva tornare a riverniciare una stanza in un monastero di suore. Sono storie che emozionano e testimoniano una spinta inesauribile di bontà, che troppo spesso diamo per scontata. Sono incontri come questo, più che le cose che ho detto sul palco, che mi spingono a dire che questa è una buona battaglia buona e vale la pena giocare a questo gioco.
“Ora attenzione alle aree più periferiche, anche nella nostra Zona di Ravenna-Faenza”
La Zona di Ravenna-Faenza come ha risposto alla chiamata a questo evento?
Molto bene: tutti i 14 gruppi della Zona hanno partecipato. Ho sentito i capi raccontare ciascuno qualcosa di bello successo durante la Route, ognuno è riuscito a portarsi a casa qualcosa. Ora anche nei nostri territori il cammino proseguirà, quello di Verona è stato solo uno snodo. Lo faremo insieme. Nella nostra Zona il territorio è molto variegato e diverso da gruppo a gruppo. Ci sono realtà in crescita e altre più in difficoltà. Ecco, siamo chiamati a sostenere soprattutto le realtà più periferiche, come ci ha indicato anche il cardinale Zuppi nella sua omelia. Un evento come la Route serve a ricordarci che non siamo soli, e se si affrontano le difficoltà assieme, come associazione e come Chiesa, la sfida è già vinta.
Samuele Marchi