Un anno dopo, cosa è riemerso a Faenza dal fango? Dalla messa in sicurezza della città ai ristori che ancora non arrivano, dal rapporto con la struttura commissariale ai ricordi di quella lunga notte del 16 maggio, tracciamo un bilancio con il sindaco Massimo Isola. Uno sguardo a ieri ma, soprattutto, al domani.

Intervista al sindaco di Faenza, Massimo Isola: “Ci sentiamo tutti più fragili. Da qui dobbiamo trovare la forza per la ricostruzione”

Sindaco Isola, a un anno dall’alluvione come guardare oggi, al futuro della città?

C’è un prima e un dopo l’alluvione. La nostra generazione deve fare tesoro del dramma che abbiamo vissuto. L’alluvione in Romagna ci ha ricordato che il nostro è un territorio fragile a livello idrogeologico, forse ce ne eravamo dimenticati. La priorità ora è ricostruire mettendo al centro la sicurezza e trovando nuovi equilibri con la natura. Dobbiamo fare questo tutti insieme, senza ideologismi e senza farci prendere dall’emotività, per lasciare ai nostri figli una Romagna più sicura. Abbiamo sofferto tanto, ma la storia ci insegna che dopo ogni grande ferita nella sua storia la Romagna è sempre riuscita a ripartire.

Come procede la ripartenza?

Ci sono diversi ambiti da tenere in considerazione. Su alcuni siamo più avanti, come gli interventi infrastrutturali, su altri, legati invece ai ristori dei cittadini e alle imprese, siamo ancora molto, troppo indietro.

Partiamo dagli interventi infrastrutturali.

Qui il dialogo tra struttura commissariale, regione e comuni sta funzionando. La lista degli interventi da compiere è ancora grande, ma se penso che dopo un anno sono stati realizzati interventi da 40 milioni di euro per la messa in sicurezza sul fiume Senio e sul fiume Lamone ritengo si stia facendo tanto.

I residenti dell’argine destro del Senio lamentano però ancora criticità.

C’è ancora molto da fare. I residenti dell’argine destro del Senio hanno ragione a evidenziare le problematiche. La Regione ha promesso interventi importanti questa estate. In particolare c’è da mettere in sicurezza il nucleo urbano da via Casale 10 alla via Emilia, e inoltre bisogna affrontare il tema delle aree agricole di quella zona, sulle quali si può fare una riflessione in ambito strategico.

Per quanto riguarda invece la città?

Oltre alla realizzazione del muro di via Renaccio c’è stata l’inaugurazione del ponte Bailey, quest’ultimo un progetto più complesso di quello che si potrebbe credere. Ora stiamo lavorando alla progettazione del nuovo ponte delle Grazie, ci vorrà del tempo, dare scadenze è prematuro. Il modo di costruire, dopo l’alluvione, non può essere più quello di prima. Abbiamo poi consegnato alla struttura commissariale e alla Regione un progetto da 5 milioni di euro di messa in sicurezza di via Cimatti nata dalle proposte dei comitati cittadini. Abbiamo investito sui parchi della città e sulla riasfaltatura delle strade alluvionate. Siamo riusciti a intercettare diversi investimenti privati, in particolare a sostegno della palestra Cavallerizza e delle scuole Pirazzini. Anche la scuola il Girasole sta ottenendo i finanziamenti per ripartire. Senza contare i lavori per la riqualifica di spazi pubblici come la biblioteca comunale e la scuola Sarti.

Quali le criticità maggiori in questa fase?

Il problema di fondo è la coincidenza di questi lavori con le scadenze, molto serrate, dei progetti Pnrr. Per questo, in tempi non sospetti, abbiamo chiesto al Governo di poter assumere personale a tempo determinato. La struttura commissariale ci ha riconosciuto la necessità di una trentina di nuovi tecnici di supporto. Il problema è che, pur pubblicando bandi come Unione, i tecnici non si trovano e al momento ne abbiamo assunti solo otto su 32. Rischiamo di perdere milioni di euro: per questo penso che sia la struttura commissariale a dover fornirci queste figure: la posta in gioco è molto alta.

Passiamo ora ai privati. I ristori promessi non stanno arrivando.

Se nell’ambito della ricostruzione pubblica con la struttura commissariale si sono ottenuti risultati importanti, sul fronte privato la situazione è diversa. La macchina dei ristori non sta funzionando, e questa è una valutazione oggettiva. La cosa che fa più male sono le forti disuguaglianze sociali: cittadini e imprese che hanno possibilità economiche possono fare investimenti e ripartire, ma le altre?

Proviamo a descrivere la situazione in numeri.

A sei mesi dall’apertura della piattaforma Sfinge, non è possibile che le istruttorie per ricevere i finanziamenti l’abbiano avuta a Faenza solo nove cittadini e un’impresa. Dopo un anno il dato è questo: un fallimento. Oggi nel solo Comune di Faenza sono ancora aperte 463 pratiche Cas. Significa che 463 cittadini, pur mantenendo la residenza, sono ancora impossibilitati a rientrare nelle abitazioni. E questi sono solo i dati ufficiali. Negli scorsi mesi il numero è stato molto più alto: 1.800 cittadini che hanno percepito il Cas. Abbiamo avuto poi 3.894 domande Cis accolte, e in questo ambito come Comune ritengo che ci siamo mossi bene, ma tanti cittadini sono in difficoltà.

“Ho proposto di trasferire la struttura commissariale a Faenza, ma mi è stato risposto di no. Avrebbe garantito più vicinanza ai cittadini”

isola e figliuolo

Come mai i ristori non partono?

Le due ordinanze chiave a sostegno di famiglie e imprese non funzionano. Assieme alla Regione abbiamo avanzato 60 proposte integrative per fare in modo che le ordinanze rispondessero di più alle esigenze dei cittadini. Pochi giorni fa le proposte sono state accettate: il che è un bene, ma nel frattempo abbiamo perso altri tre mesi. Se le ordinanze non funzionano ne vanno fatte delle nuove, questo l’ho ribadito al commissario, dobbiamo trovare altre soluzioni. Per l’alluvione c’è una casistica troppo differenziata che crea passaggi molto complessi.
C’è poi un altro problema.

Quale?

La struttura commissariale non ha sede qui, ma a Roma. Ho proposto di trasferirla a Faenza, ma mi è stato risposto di no. Un maggior contatto con il territorio, permetterebbe di affrontare in maniera più efficace il dialogo con i cittadini. Con la struttura commissariale c’è un confronto costruttivo, ma ammetto che il rischio della politicizzazione, dietro la tragedia che abbiamo vissuto, è sempre dietro l’angolo. Eppure questo non è mai successo nella storia della nostra Repubblica. In questi mesi ho sentito più volte il presidente Mattarella, ma dal Governo non sono mai stato cercato da nessuno. A volte mi chiedo se a Roma ci sia qualche ministro che si occupi di noi. Dobbiamo lottare tutti i giorni per non rischiare di finire nel dimenticatoio.

Un anno dopo, cosa abbiamo perso e cosa abbiamo ritrovato?

Mi viene in mente un’immagine: le 50mila tonnellate di rifiuti dietro le quali c’erano biografie di famiglie, ricordi individuali e collettivi, i simboli della nostra comunità. Abbiamo perso il sentimento di consideraci sicuri a prescindere. Abbiamo scoperto che su quella fragilità si può lavorare e intervenire.

Cosa ricorda di quei giorni?

I ricordi sono innumerevoli. Mentre cercavamo di salvare più vite possibili, quella notte, tutti noi sindaci abbiamo dovuto mettere da parte l’emotività. Ricordo l’arrivo in piazza del gruppo dei sommozzatori di La Spezia, pronti a partire per salvare le vite dei residenti in via Della Valle; i dialoghi con i vigili del fuoco arrivati dal Veneto per aiutarli a indirizzarli nelle vie della città tra la pioggia e il buio; il grido di aiuto dei nostri concittadini sui tetti. Per tutto quel tempo sospeso abbiamo cercato di salvare più vite possibili. L’arrivo dell’aurora e la fine della pioggia ha davvero rappresentato per me un segno di speranza che non dimenticherò mai.

Samuele Marchi