Il missionario don Renato Rosso negli ultimi anni si è occupato dei beduini nello stato di Israele e Palestina e ha pure dedicato tempo all’accoglienza dei pellegrini. Con lui cerchiamo di fare il punto sulla difficile situazione in Terra Santa.
Intervista a don Renato Rosso
Don Renato, come vede la situazione che si è venuta a creare?
Comincerei col dire che tutte le informazioni che abbiamo non sono così vagliate, ma spesso sono contraddittorie. L’inferno della guerra continua. Continuano allarmanti notizie da parte della Turchia, che minaccia di annientare Israele, qualora Israele si permetta di colpire elementi di Hamas rifugiati in Turchia. Altre minacce vengono dal Libano e dall’Iran. Poi ci sono l’America e l’Europa, che hanno i propri interessi da salvaguardare. A nessuno interessa Israele, Palestina e Hamas. I progetti per il futuro, non sono a favore dell’uomo, ma di denaro, armi e potere. Tutte le proposte e le ipotesi per una soluzione che offra speranza di pace, finora sono state insufficienti. Si parla molto di diritto alla difesa e dovere della riconquista, di diritto alla terra, ma nelle guerre non si parla mai del diritto fondamentale alla vita degli uomini. La rabbia e l’odio accumulato nel tempo li ha resi tutti nemici gli uni degli altri, senza più la forza di ripensare alla pace.
Quindi cosa fare?
Bisogna ridisegnare una convivenza pacifica, ma manca la forza. Tutti si sentono minacciati e aggrediti. Israele massacrato dall’antisemitismo, vanta il diritto che dice di avere dal tempo di Abramo, mentre i palestinesi sono stanchi delle oppressioni subite in questi ultimi anni. La risposta che sembra più saggia è quella di costruire muri di separazione e ottenere stati autonomi e indipendenti. Le divisioni non entrano in un progetto di pace. Appena uno si sentirà più forte aggredirà l’altro più debole. Gli obiettivi militari massacrano i diritti umanitari. Questa strategia copre anche le esecuzioni arbitrarie e rientra nella politica di rimozione e repressione, per salvaguardare i propri obiettivi.
È chiaro che ciascun gruppo etnico professa sentimenti propri che risultano inconciliabili con una proposta di convivenza civile. Lei ha una proposta di speranza?
I musulmani e gli ebrei ritengono che la vendetta sia un dovere, ma i cristiani hanno una proposta alternativa. Gesù ha predicato che i nemici non si uccidono, ma si perdonano e si amano. Bisognerebbe cercare di diffondere questo messaggio, per fare in modo che la minoranza, appartenente a fedi diverse, che lo ha accettato cresca fino a diventare maggioranza, cosicché si crei uno stato senza muri e senza barriere, dove palestinesi, israeliani e partigiani di Hamas, possano vivere insieme, collaborando al bene di tutti. Ora i due popoli non riescono a convivere, quindi è necessario realizzare soluzioni intermedie, come separazione del territorio dove i vari gruppi possano vivere gli uni accanto agli altri, promuovendo uno sviluppo, grazie alle risorse che ciascun gruppo possiede. È vero che Hamas ha commesso dei crimini di guerra, posizionando i propri quartieri generali, i depositi delle armi, all’interno degli ospedali e uccidendo innocenti per annientare i nemici. Senza il perdono non si avrà la pace. Ma è possibile invocare il perdono quando gli eserciti cercano di distruggersi a vicenda? La proposta cristiana dovrebbe essere accettata come alternativa. Iniziare un cammino di unità, abbandonando le divisioni, si potrà sperare di realizzare la pace.
Convivenza pacifica: utopia o via percorribile?
Attualmente la sua proposta sembra pura utopia. Può citare esempi che invece possono dimostrare che essa può diventare realtà?
Semmai l’utopia sta nel pensare che uno stato sarà vincitore quando avrà eliminato gli altri. Nelle guerre tutti sono perdenti. Tornando alla sua domanda che mi chiede di citare esempi concreti di convivenza, non posso non far notare che prima della costituzione dello stato ebraico, quasi un milione di ebrei viveva in stati arabi. Inoltre, prima dell’ultimo e terribile attacco di Hamas, ben 25mila palestinesi lavoravano a Gerusalemme. Altro fatto significativo è che in Palestina e Israele vivono molti parenti degli uni e degli altri. I militari devono essere attenti per non colpire i loro parenti che vivono nello stato considerato nemico. Quando i pellegrini giungono a Nazareth, che è situato in Israele, possono constatare che le decine di shop a lato della Basilica dell’Annunciazione sono gestiti da musulmani. E sono ancora di mussulmani i chioschi che davanti alla grande Basilica vendono ai turisti i rosari e le croci. Vicino a Gerusalemme vi è un villaggio “Oasi di pace”, che ospita 3mila persone: ebrei, musulmani e cristiani che dal 1972 vivono e lavorano assieme, per dimostrare che non esistono controindicazioni ad una convivenza pacifica fra i vari gruppi. Purtroppo, la rabbia e l’odio che si sono creati in tanti anni, hanno creato ferite così profonde che non si possono ipotecare in tempi brevi soluzioni intermedie, come divisione di territorio, o, controllo da parte di una autorità come Onu. Deve però essere chiara la realizzazione futura di uno stato senza barriere, dove musulmani, palestinesi e partigiani di Hamas possano vivere gli uni accanto agli altri, promuovendo lo sviluppo comune. Nel progetto cristiano non si deve eliminare nessuno, né i palestinesi, né i partigiani di Hamas, né gli israeliani. Bisogna invitare tutti alla conversione e al perdono senza i quali nessun progetto di pace sarà stabile.
Cosa prevede per il futuro della Palestina?
Bisognerà che tutte le parti cambino strategia e non continuino a cercare di distruggere l’altro. I palestinesi dovranno fare scelte diverse e chiare, come suggerisce il cardinal Pierbattista Pizzaballa. Hamas non dovrà essere annientato, sia perché la distruzione di quella organizzazione non favorirà la pace, ma soprattutto perché una simile organizzazione non potrà mai essere annientata totalmente. Migliaia di kamikaze sorgerebbero dalla sua distruzione. Ripeto, che anche un piccolo gruppo potrebbe destabilizzare il Paese. La storia ci ricorda infiniti esempi di tale strategia. Se i partigiani di Hamas facessero una simile scelta, nessun straniero oserebbe più porre piede su quelle terra, definita santa. Il progetto di pace, che seguirà la conversione e il perdono, non deve essere considerata utopia. La pace aiuterà a creare uno stato unico, nel quale tutti avranno gli stessi diritti e doveri. Del resto, già ora in Terra Santa ogni giorno migliaia di pellegrini, appartenenti a differenti religioni e culture, pur con le loro differenze, arricchiscono lo sviluppo del Paese.
Raffaele Gaddoni














