Nel 1926, a soli 25 anni, Adriano Olivetti entrò come operaio nell’azienda di famiglia, e sebbene all’epoca non esistesse ancora il “welfare aziendale“, la sua indole umanista e la vivace famiglia intellettuale lo ispirarono a occuparsi dei dipendenti secondo il pensiero in cui il tutto è più della somma delle parti di cui è composto.

Un sano equilibrio tra lavoro e vita familiare

Durante i momenti bui del ventennio fascista e due conflitti mondiali, Olivetti sviluppò una forte sensibilità verso la comunità e cercò sempre di promuovere il benessere individuale all’interno di una comunità più ampia. Nel secondo dopoguerra, Olivetti introdusse un modello aziendale rivoluzionario, trasformando il luogo di lavoro in un ambiente di arricchimento culturale e personale. La Olivetti fu la prima azienda al mondo ad offrire biblioteche ai dipendenti e creò un “sistema di servizi” per il loro benessere, anticipando l’idea moderna di asili aziendali e stipendi competitivi. Il suo obiettivo era far sì che il profitto servisse a migliorare la vita dei lavoratori. Fu solo negli anni 2000, che si iniziò sempre più a parlare di “welfare aziendale“, ma Olivetti, già avanti al suo tempo, ne era stato il precursore. La “ricetta Olivetti” per un’azienda a misura d’uomo includeva l’idea di non allontanare i lavoratori dai loro luoghi natali, promuovendo il lavoro vicino a casa e un sano equilibrio tra lavoro e vita familiare. Ma soprattutto, Adriano Olivetti credeva che il fine dell’industria dovesse essere il bene comune, per lui le persone venivano prima dei profitti. Si racconta che quando passava davanti all’azienda, vedendo le luci accese, e sentendosi parte di coloro che erano al lavoro, entrava e si sedeva in mezzo agli operai, per sentirli più vicini e ringraziarli.
La visione di Olivetti rimane un faro per le aziende moderne, e la sua eredità vive attraverso gli imprenditori che valorizzano il capitale umano per il bene di tutta la società. Un libro può aiutarci a fare luce sulla sua figura: “Il caso Olivetti: La IBM, la CIA, la Guerra fredda e la misteriosa fine del primo personal computer della storia” di Meryle Secrest, edizioni Rizzoli.

Tiziano Conti