In una comunità salutarsi dopo tanti anni è difficile sia per chi parte che per chi resta. Eppure proprio la missione è il senso del servizio di un sacerdote. Così in un settembre pieno di trasferimenti nella nostra diocesi, abbiamo chiesto a don Andrea Rigoni, co parroco della parrocchia di San Giuseppe di raccontarci come vive questo cambiamento. Ha salutato la comunità, di cui ora è parroco don Marco Donati, e si prepara a fare ingresso a Sant’Antonino con don Massimo Geminiani.

Intervista a don Andrea Rigoni

Don Andrea, che cosa ti porti dietro da questi anni a San Giuseppe?
Tante cose. Sono arrivato a San Giuseppe nel 2016 e sono stato qui quasi sette anni insieme a don Mario
Piazza. È stato in realtà un ritorno perché ero già stato in questa parrocchia prima di essere cappellano a Fusignano. Di questi anni passati a San Giuseppe mi porto nel cuore l’amicizia che si è creata con qualcuno e la bella testimonianza di tante persone di attenzione agli anziani, a chi ha più bisogno, ma anche l’impegno che alcune persone, anche se poche, hanno messo in atto nell’educazione dei ragazzi. La parrocchia di san Giuseppe, in questi ultimi anni, ha subito un notevole cambiamento demografico – ci sono molte più persone di altre culture e religioni e molte giovani coppie si sono trasferite in altri quartieri – e le forze giovani sono meno. Nonostante ciò ho sperimentato un senso di amicizia e di comunità e questo mi ha aiutato ad affrontare le fatiche del mio servizio. Poi posso dire di aver imparato tanto anche dalla creatività delle persone che animano il teatro di san Giuseppe, punto di riferimento per Faenza. Non posso dimenticare il gruppo scout Faenza 2, che ho ritrovato quando sono tornato. Questo gruppo è l’anima giovanile della parrocchia: stando con gli scout si impara tanto. Hanno il loro linguaggio, e posso dire di aver ricevuto tanto dal senso di comunità che mi hanno trasmesso, dal senso pratico e dal roro metodo educativo.

L’immagine del cammino, cara agli scout, indica una via da seguire fidandosi del Signore. Quando hai capito di voler prendere questa strada e diventare sacerdote?
La mia vocazione è nata nella mia comunità parrocchiale, Santa Maria Maddalena, non in un movimento o in un’associazione particolare.
Ho ripreso a frequentare la parrocchia verso i 18 anni, e il cammino di comunità, la frequentazione di una casa-famiglia, i ritiri di preghiera fatti, la figure di alcuni preti a cui mi ero legato, hanno fatto nascere in me delle domande. Allora ho provato, ho rischiato, iniziando a seguire questa strada che mi sembrava la mia. E lo era. Vedevo e sentivo l’importanza non tanto del ruolo del prete, ma della missione che gli veniva affidata. Nel 2001 sono stato ordinato sacerdote con don Alberto Luccaroni.

Ultimamente ci sono meno vocazioni. Perchè secondo te?
Non bisogna guardare solo al calo delle vocazioni perché questa è una conseguenza della situazione attuale.Ci sono famiglie che sentono sempre meno l’esigenza di crescere nella fede o di partecipare alla vita di una parrocchia. La nostra missione oggi è anche quella di suscitare la bellezza di un cammino di fede. Se si edifica la vita di una comunità, mettendo al centro il Signore possono nascere tante e numerose vocazioni, anche quelle che riguardano la vita religiosa e sacerdotale.

Che cosa ti aspetti dalla nuova parrocchia?
Mi aspetto di trovare una comunità che, anche se affaticata e provata dall’alluvione, cerca di sostenersi e di
camminare nella fede. Mi fa piacere sapere di andare in un posto in cui c’è già un senso di famiglia. Don Marco ha lavorato molto bene in questa direzione. Spero di portare il mio piccolo contributo.

Letizia Di Deco