E’ innegabile che la rivoluzione scoppiata con la rivalutazione della poesia e del teatro in vernacolo, sostenuta dall’azione illuminata di un movimento spontaneo e variegato di artisti, poeti e intellettuali che sarebbe lungo elencare, basti citare due figure iconiche quali Tonino Guerra e Ivano Marescotti, stia trascinando tutte le espressioni culturali e non solo di una terra, la Romagna che sin dalla nascita della nazione italiana ha saputo recitare un ruolo di prim’ordine.

Tra i grandi fautori di questo movimento ritroviamo sicuramente i fratelli Parmiani che perpetrando una tradizione di famiglia hanno tramandato e rinnovato il teatro romagnolo con un proficuo sodalizio artistico che ha saputo fondere tradizione, cultura popolare e cabaret, dedicandosi con continuità e dedizione sia al teatro dialettale che a quello in lingua.

Per quelle strane coincidenze della vita Gianni, uno dei due fratelli Parmiani, poco prima del disastro che ha colpito la Romagna a maggio, mese tradizionalmente caro ai romagnoli (La Majé- la maggiolata) ha allestito uno spettacolo incardinato proprio sul mulino,un luogo dell’anima, che le acque melmose del Santerno in piena hanno poi spazzato via.

Rimanendo in Romagna, vista l’importante mostra che sarà inaugurata a Forli tra qualche mese dedicata ai Preraffaelliti è d’uopo citare John Ruskin che fece la fortuna del movimento artistico decadente: “Quando amore e perizia lavorano insieme, aspettatevi un capolavoro”, un concetto che descrive perfettamente la genesi di “A tirumbëla, mè. (A più non posso, io) il monologo di Gianni Parmiani: uno spettacolo che diverte, ma nel contempo resta sospeso tra sogno e poesia, avvolto in un’aura d’incanto, infiorata da lampi di comicità.

Parmiani porterà il suo monologo a Brisighella venerdì 1 settembre, alle 21, all’Anfiteatro Spada (ingresso ad offerta libera).