Una delle figure centrali della giostra faentina del Niballo in onore del principe degli apostoli Pietro è sicuramente quella del maestro di campo. Sin dalle prime manifestazioni del Niballo, il maestro di campo si caratterizza per la sua essenziale funzione di regolatore e di controllore di ogni aspetto che riguarda tanto il corteo storico quanto la corsa al palio. Da molti anni questa figura è legata ad Antonio Lolli, che ha magistralmente rappresentato e incarnato il senso vero di questa carica, le cui radici storiche sono lontane e di certo vanno ricondotte all’ambito militare. Difatti l’esistenza lungo il corso dei secoli di feste di segno cavalleresco o ludico-militare nella tipologia di giostre, corse del palio o semplici corse di cavalli berberi è anche sufficientemente documentata, anche se c’è ancora tanto da esplorare tra le carte impolverate d’archivio.
Il ruolo del maestro di campo nel Palio del Niballo di Faenza
La giostra faentina, oggi come ieri, esprime la sintesi di una cultura che riscopre la propria identità collettiva in una permanenza folklorica del passato e coinvolge lo spazio urbano, a partire dalla centralità storica della piazza: il riferimento alla varia composizione del tessuto sociale e del gruppo dirigente, tra associazioni popolari, corporazioni o Arti, come si diceva secoli fa, famiglie nobili e aristocrazia e loro consorterie, irrobustisce la tenuta complessiva della ripartizione della città in quattro quartieri o rioni, ereditati dall’impianto urbanistico dell’antica Faventia romana, sfiorata dal Borgo Durbecco attraverso il ponte sul Lamone, che recuperava nelle sue strutture i materiali romani e si faceva annunciare da teorie di case porticate disfatte nel secondo conflitto mondiale.
Il Niballo, dunque, è la festa della città, che celebra le antiche glorie comunali transitate nell’esperienza non facile di governo signorile dei Manfredi, rievocazione che rispolvera la sua cifra identitaria nel culto dei santi patroni, tra cui il principe degli apostoli, cui la chiesa cattedrale, insigne monumento rinascimentale dalla paternità artistica a dir poco illustre di Giuliano da Maiano, consacra la titolarità.
«Capi rioni, cavalieri, uomini del corteggio siate degni dei vostri colori e della bellezza delle vostre dame».
Così il magistrato, poi maestro di campo, nel 1959 annunciava per la prima volta in età moderna l’apertura solenne della passeggiata storica al campo. Alla sua figura, infatti, vorrei dedicare questo approfondimento, in quanto in essa si addensano accezioni molteplici nel corso dei secoli.
Scelto fra persone di matura esperienza di Palio e vita rionale, il maestro di campo oggi è nominato dal Magistrato dei rioni, che è il sindaco, su proposta espressa dal Comitato per il Niballo. È una figura cardine all’interno di tutta la manifestazione paliesca, in quanto ad essa si riconducono il coordinamento dei rotellini municipali e dei rotellini rionali, sovrintendendo alla organizzazione del corteo storico e al rispetto delle disposizioni del regolamento generale e del regolamento organizzativo. Inoltre, il maestro di campo assicura il rispetto delle disposizioni regolamentari relative ai temi, alle funzioni e composizione della comparsa rionale e del gruppo municipale.
Il ruolo di maestro di campo è, ad esempio, ben visibile a Firenze nel contesto della rievocazione storica del Calcio Storico Fiorentino, un gioco di palla rinascimentale, che però non arruolava la carica necessariamente da esponenti delle casate nobiliari fiorentine.
Dal Rinascimento a oggi
Storicamente il maestro di campo eredita funzioni attive e visibili sin dalla piena età rinascimentale, con ascendenze tanto spagnole quanto francesi, equivalendo alla carica di comandante di un reggimento, come poteva essere quello della cavalleria o della fanteria, pur sottostando all’autorità di un colonnello generale, che comandava tutte le unità militari di un esercito.
Quella del maestro di campo è stata una presenza nodale nella sfera militare francese: infatti il mestre de camp in Francia fu un grado militare che riscosse una certa fortuna durante l’Ancien Régime, perdurando fino agli anni della Rivoluzione, in quanto resisteva la forte valenza venale della carica, liberamente acquistabile e alienabile, specialmente nel contesto sociale dell’alta aristocrazia, i cui rampolli potevano accedere al grado ad un’età abbastanza precoce e trovarsi quindi in buona posizione per aspirare per anzianità ai gradi più alti.
L’eredità storica della figura del maestro di campo è stata, in realtà, talmente significativa da collocarsi pure al centro di una serie di trattati, che durante il XVII secolo si diffusero a macchia d’olio in Europa: come nel caso della più vistosa divulgazione de Il maestro di campo generale, del generale e mercenario Giorgio Basta (1540/1550 — 1607), figlio di un nobile epirota al servizio degli Spagnoli, per i quali combatté nelle campagne di Piemonte della metà del secolo e poi nelle Fiandre, come comandante di reparti di cavalleria.
Apparso a stampa a Venezia nel 1606, ma presto circolato in tutta Europa grazie alle traduzioni in francese (Francoforte, 1607) e in tedesco (Oppenheim, 1617), seguite da numerose ristampe nel corso del Seicento, il trattato di Giorgio Basta risulta tra le principali fonti dell’istruzione militare, come anche l’opera dal titolo sintomatico su Il governo della cavalleria leggera, trattato originale, utile ai soldati, giovevole ai guerrieri, fruttuoso ai capitani e curioso a tutti, stampato a Venezia nel 1612, tradotto in francese a Rouen nel 1616 e in tedesco a Oppenheim nel 1614. Oltre a questi due testi maggiori, Giorgio Basta stese anche un terzo trattatello, Del governo dell’artiglieria, edito a Venezia nel 1610.
In modo particolare, ne Il maestro di campo generale si possono identificare le direttive generali per la gestione logistica del campo, degli assedi e delle battaglie di un esercito della prima modernità. Non a caso fu proprio Carlo I di Spagna, cioè l’imperatore Carlo V, nel 1534, a individuare nel maestre de campo, maese o maestro il grado militare più appropriato al comando di un tercio (nel Cinquecento, formazione di poche migliaia di fanti armati suddivisi da 10 a 20 compagnie) e al potere di amministrare la giustizia e di regolare il vettovagliamento.
Non si tratta di un testo di vera e propria strategia militare, anche se non mancano consigli di questo genere, soprattutto per quanto riguarda gli assedi, ma parla di un aspetto che spesso rimane in ombra, dietro le grandi battaglie e le tattiche utilizzate per raggiungere la vittoria.
Un sottile fil rouge collega, dunque, la figura del nostro maestro di campo con quella storica relativa al grado militare, anche se in quest’ultima si diluiscono le facoltà e i poteri di disporre le fasi di svolgimento delle manovre militari, traslate metaforicamente nella passeggiata storica e nella stessa giostra, durante la quale, oggi sul campo di gioco, si affianca e collabora strettamente con il podestà della giostra, rappresentato da Fausto Brugnoni, cui invece spetta l’autorità sulle partenze dei cavalli, ad esempio, o anche le verifiche delle misure e degli adempimenti relativi all’allestimento del campo della giostra.
Michele Orlando