Un’emergenza silenziosa che prosegue, anche a Faenza. Sul nostro territorio a febbraio risultavano in tutto 63 i nuclei familiari per i quali è stato emesso lo sfratto, ai quali si aggiungono sedici casi a Castel Bolognese, otto a Brisighella, sette a Solarolo, sei a Riolo Terme e quattro a Casola Valsenio. E negli ultimi mesi il dato è probabilmente cresciuto. Per fronteggiare questa emergenza è stato istituito un tavolo di confronto a cui partecipano rappresentati dei Servizi sociali del Comune e della Caritas, oltre a referenti di Asp e Acer. Abbiamo approfondito questo tema con Nicola Rubbi, operatore del Centro di Ascolto della Caritas e componente del tavolo degli sfratti.

Intervista a Nicola Rubbi, operatore Caritas componente del tavolo sfratti

Nicola, perché nasce proprio ora l’emergenza sfratti?

La pandemia ha messo in difficoltà tante famiglie che già prima vivevano situazioni al limite. Sono famiglie con lavori precari o non regolari, che sono rimaste per un certo periodo senza stipendio. Il Covid-19 si è inserito in un contesto già fragile. Il Governo è intervenuto con tre decreti che per un anno e mezzo hanno congelato le situazioni di morosità e gli iter giudiziari per gli sfratti. È stata fatta una tutela, ma ora la bolla è esplosa. Queste misure infatti sono terminate nell’autunno scorso. Giustamente si è venuti incontro alle esigenze di chi doveva pagare l’affitto, ma il fatto di non venire incontro, spesso, alle esigenze dei proprietari ha inasprito alcune situazioni.

Quali sono le famiglie più fragili?

Le situazioni sono le più disparate. Possiamo partire dai lavori precari o pagati poco, dove lo stipendio della persona non è sufficiente a coprire le spese. L’aumento dei costi delle utenze, in questo contesto, diventa drammatico. Le famiglie più in difficoltà sono quelle monogenitoriali, dove si fa fatica a seguire i figli e a mantenere il lavoro. Poi c’è il tema delle persone straniere, alcune magari da pochi anni in Italia e che non sono riuscite a costruirsi attorno una rete sociale, di parenti o amici, che possano dare una mano. E poi ci sono ancora tanti pregiudizi verso le persone straniere. Da non sottovalutare anche alcune famiglie segnalate dal Sert.

Quali dunque gli ostacoli maggiori che trovano queste famiglie?

La precarietà è il grande tema. Dove non c’è un contratto di lavoro a tempo indeterminato, si fa fatica a trovare un alloggio disponibile nel privato. Inoltre c’è il tema legato ai bonus di ristrutturazione. Diversi proprietari hanno dato la disdetta dell’affitto per poter ristrutturare la casa grazie ai bonus. E una volta sistemati, cresce anche il loro valore sul mercato…

Come prosegue il lavoro del tavoli degli sfratti?

Il nostro compito è analizzare caso per caso la situazione delle famiglie più in difficoltà cercando quale può essere la soluzione migliore. Prima che lo sfratto diventi esecutivo passano circa sei mesi, durante i quali si segue l’iter giudiziario e al tempo stesso si cerca di trovare una soluzione. Diversi passi in avanti sono stati fatti. Alcune famiglie, che avevano ricevuto lo sfratto esecutivo, hanno trovato un appartamento. Certo, si naviga a vista e c’è molta fatica nel riuscire a dare delle risposte, perché i numeri degli alloggi disponibili sono molto meno di quelli delle famiglie che cercano casa.
E man mano che passa il tempo, nuove scadenze si avvicinano. Trovare nuovi appartamenti disponibili è un’impresa.

Nello specifico come Caritas come contribuite al tavolo?

Analizziamo la situazione delle famiglie caso per caso. Mettiamo in campo l’ascolto, con il quale aiutiamo le persone a mettere in ordine le proprie priorità. Si è cercato di sbloccare alcune situazioni stimolando la rete attorno alla persona, oppure tramite il rinnovo delle graduatorie Acer a partire da quest’anno. Anche la Diocesi e l’Istituto Sostentamento Clero hanno dato la propria disponibilità di alloggi. Più opzioni riusciamo a mettere in campo meglio è. A volte, per esempio, si riesce a trovare una casa che però è molto distante dalle esigenze della famiglia, penso per esempio a un appartamento a Casola. In certi casi abbiamo erogato anche aiuti economici per il pagamento dell’affitto e delle utenze a cui la famiglia non riesce a far fronte, grazie ai fondi di “solidarietà di vicinato” promossi dalla Diocesi con l’8xmille.

Al di là degli interventi specifici, cosa bisognerebbe fare nel lungo termine per affrontare questa situazione?

A mio parere, si deve investire seriamente sul tema dell’abitare. Aumentare il numero di alloggi di edilizia popolare e investire nella mediazione abitativa che funga da garanzia rispetto ai privati e aiuti in quei condomini con forte presenza multiculturale.
Spero poi che la positiva esperienza dell’accoglienza ucraina possa aiutare tutti nell’avere maggiore sensibilità nel fornire aiuto a persone in difficoltà.

Samuele Marchi