Ho studiato Storia perché i nonni mi facevano tanti racconti dei loro tempi, specialmente della guerra. Ma forse anche perché la mamma di storie me ne ha lette davvero tante, e ho imparato che ogni racconto è uno specchio misterioso che restituisce qualcosa di te ogni volta che lo sondi con lo sguardo. Quando ho iniziato la triennale in Storia, ero spinto da due grandi passioni: la storia medievale, luogo di tante epiche battaglie giocate e rigiocate, e le vicende della II Guerra mondiale, perché intuivo che lì c’è una radice della mia famiglia, dunque della mia storia, di ciò che sono. Non vi starò a raccontare della teoria delle fonti, quella che consente di ricostruire degli eventi in base a tracce spesso tutt’altro che evidenti; nemmeno della fatica a ricostruire con assoluta oggettività la dinamica dei fatti, tentativo che diventa tanto più sterile quanto più ci si allontana dall’oggi; ciò che tengo a dirvi è la scoperta che la Storia è storia di storie. Studiarla è come entrare in un lunghissimo corridoio di quegli specchi misteriosi capaci di restituirti qualcosa della tua immagine.

L’altra cosa che ritengo molto importante è che essa ti allena alla fiducia. Dicevo infatti che la ricostruzione perfetta non esiste, sfugge alle mani dello storico: mettere insieme le fonti e ragionarle, cioè dare un giudizio sulla Storia, può nascere solo da una contemplazione che integra il silenzio con l’umiltà che viene da un’umiliazione, quella di constatare che i conti non tornano, che il fluire del tempo non accetta mai di essere un’arma dogmatica nelle mani del contemporaneo. «Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelare sé stesso e far conoscere il mistero della sua volontà, mediante il quale gli uomini, per mezzo di Cristo sono resi partecipi della divina natura». Ecco e adesso cosa c’entra la Bibbia? Non si era detto che la Storia non consente la tirannia dogmatica? Intanto non sono parole della Bibbia ma del documento del Concilio Vaticano II Dei Verbum al numero 2; in secondo luogo se è vero quanto ribadito sul fatto che la certezza assoluta dei fatti scivola fra le dita, è pure vero che rimane possibile intuire dei significati. Le parole citate raccontano il mistero capitale di tutto il racconto cristiano: il fruscio di Dio è udibile nelle pieghe della Storia. Di più: è percepibile solo in forza della sua natura storica. L’avventura della teologia si costruisce su questo punto irrinunciabile. Ecco perché negli specchi dello scorrere dei secoli non è solo la nostra immagine a esserci restituita, ma anche il guizzo, spesso quasi impercettibile, della luce di Dio. Così studiare la rabbia dei poveri che grida attraverso i secoli restituire un’eco delle parole dei profeti, la maestosa vanità dei signori dei regni umani l’avvertimento dei libri Sapienziali, l’inferno dei lager un lembo del significato terribile della Croce. Studiare Storia non è solo utile, divertente, affascinante. È anche un atto teologico e, in qualche modo un po’ misterioso, anche spirituale.

Francesco Agatensi