«Non tutto il male vien per nuocere» recita il proverbio. Ed è il nostro caso visto che, complice la pandemia, abbiamo avuto il piacere di incontrare un amico. Simone Balboni, ingegnere di Errano (frazione di Faenza), da molti anni vive in Palestina dove lavora per Cesvi, un’organizzazione non governativa attiva in diversi Paesi del mondo. Poco prima di Natale ha fatto una “scappata” a Errano, ma al momento di rientrare in Israele non è potuto partire, a causa dell’aumento dei contagi. E così siamo riusciti a organizzare una serata insieme ad Azione Cattolica, per farci raccontare la sua situazione personale che quella nella Palestina odierna.

Nei campi profughi palestinesi si vive in uno stato di precarietà

Abbiamo scoperto che le attività di Cesvi sono dedicate principalmente ai Palestinesi che abitano nei campi profughi, insediamenti di famiglie lì rifugiate dopo le guerre che si sono succedute dal 1948 in avanti. Queste persone vivono in uno stato di precarietà, sia fisico che mentale. Infatti molti anziani vivono ancora nella speranza di rientrare nelle case abbandonate decine di anni prima, mentre i giovani inseguono il sogno di una vita lontano da lì, negli Stati Uniti o in Europa. E questa è una delle tante divisioni e fatiche che ci sono.

“I giovani crescono con muri nella testa”

Simone in questi anni ha seguito diversi progetti per il miglioramento delle condizioni pratiche di vita: dalla gestione del ciclo dei rifiuti a piccole reti di acquedotto. Ci ha raccontato, però, come non sono i problemi pratici quelli principali; sono le differenze che diventano divisioni, in una terra che sta passando da una difficile convivenza a una separazione sempre più reale. La costruzione dei muri, spesso a proteggere gli insediamenti dei coloni israeliani e le strade che li collegano dai territori cosiddetti occupati, è vero che ha diminuito gli episodi di violenza, ma sta contribuendo al clima di divisione. «I giovani – dice Simone – crescono con questi muri nella testa». E da grandi differenze e divisioni è caratterizzato anche lo Stato di Israele, dove ci sono gli immigrati dall’Europa centrale in genere laici e tutto sommato benestanti, le comunità ortodosse, gli immigrati dalla Russia, gli Ebrei provenienti dall’Etiopia, oltre a circa il 20% di Israeliani di lingua araba, in parte mussulmani ed in parte cristiani, che abitavano la Palestina prima del 1948, e tanti altri gruppi.

L’incontro con l’Azione Cattolica di Faenza-Modigliana

Simone ci ha raccontato dei rapporti con le comunità palestinesi con le quali lavora, della fatica a entrare in ambienti molto chiusi, dove è importante la famiglia allargata, il “clan”, all’interno del quale si cerca di gestire molte questioni, e della debolezza delle Istituzioni, vittime di corruzione e interessi di parte. Come capita sempre quando si parla di Palestina, sono molti più i dubbi e le domande rimaste senza risposta delle cose che ci sembra di aver afferrato, come grande è la speranza che questa terra di cui ci sentiamo tutti un po’ figli trovi pace.