Nella nostra società la solitudine è un problema sociale e dannoso per la salute che sta diventando endemico. È per questo motivo che è stato messo a punto il progetto pilota perché nessuno resti solo tra diverse realtà: Caritas diocesana, parrocchie, Pastorale della Salute, Comune e Asl per realizzare un report nell’ambito di tre parrocchie ‘campione’ così da conoscere le condizioni di solitudine, e di eventuale disagio, della popolazione per poi mettere in campo azioni per poterla contrastare. I territori messi sotto la lente d’ingrandimento sono quelli delle parrocchie di San Francesco, San Marco e Granarolo Faentino. Il progetto vedrà coinvolti alcuni volontari della Caritas che nelle scorse settimane sono stati formati allo scopo. La fascia di età presa in considerazione sarà quella che va da 70 anni in avanti. Secondo una stima quella fascia di popolazione, nei territori presi in considerazione, conta circa 1.700 persone.

Di queste, quelli che risultano vivere da sole sono 561. Ai domicili degli oltre 1.700 anziani sarà inviata una lettera per preannunciare la telefonata di un operatore. Sulla base di un consenso telefonico, ci sarà poi un incontro con i volontari per capire come la persona vive la propria giornata. Da queste informazioni saranno attivate proposte di contrasto a situazioni di disagio. Per approfondire, abbiamo contattato Gabriella Reggi, che collabora con la Pastorale della Salute.

Gabriella, come nasce questo progetto?

Da una consapevolezza: non si possono raggiungere gli anziani soli se non li conosciamo e non sappiamo dove abitano o in che condizioni si trovano. Le nostre parrocchie hanno fatto molto in questi mesi, ma spesso sono riuscite a intercettare solo un limitato numero di anziani, quelli che frequentano periodicamente le attività parrocchiali o che erano comunque persone già conosciute.

La maggior parte degli anziani, invece, è rimasta ai margini. Da qui nasce la necessità di una mappatura, per ora su tre parrocchie, per essere consapevoli su dove e come intervenire.

I dati oggi a disposizione sono insufficienti?

Gli ultimi dati a disposizione dell’Unione della Romagna faentina, indicavano nel 2018 circa 22mila persone sopra i 65 anni. Di queste persone risulta che ne vivevano da sole 6.240, ma anche questo dato va letto con cautela. Non è detto che una persona residente da sola viva una condizione di solitudine, potrebbe avere una forte rete familiare vicina, per esempio i figli che vivono nell’appartamento adiacente. Così come non è detto che due persone che vivono assieme siano autosufficienti, magari entrambe vivono in condizioni problematiche. Per questo il dato di per sé non basta e bisogna invece approfondire queste situazioni.

Chi sono i protagonisti del progetto?

Più che singoli volontari, bisogna attivare delle reti, e Perché nessuno resti solo vuole essere un progetto di rete. Vuole suscitare vicinanza alle persone sole tramite una rete che si prenda cura gli uni degli altri, per questo sono coinvolte così tante realtà. E al centro non ci sono solo i pur importanti volontari formati. Ognuno di noi – anche il barista o il fornaio che hanno l’attività nella stessa via – può essere una sentinella per accorgersi che qualcosa non va, per esempio se la persona anziana che vive sola e frequenta quotidianamente il bar non si vede più. E solo allora entrano in gioco i volontari, che si attivano a risolvere il caso specifico, ma è importante risvegliare un senso di comunità e attenzione.

Non è dunque solo la pandemia ad aver creato questo contesto

Sono convinta che molti di noi abbiano persone malate vicine, ma non ce ne accorgiamo perché tutti vanno di fretta, e abbiamo sempre meno tempo. Proporrei per esempio ai catechisti di chiedere ai loro ragazzi se conoscono le persone anziane che vivono nel loro stesso condominio o nella loro stessa via: quanti saprebbero rispondere? Tutto questo si è aggravato con la pandemia: molti anziani hanno smesso di frequentare i luoghi di socialità. Ci si è attivati giustamente per portare la spesa agli anziani, ma allo stesso tempo si deve accrescere la relazione con le persone che sono semplicemente sole. Spesso, anche nelle opere di carità, siamo presi anche dall’ansia di quantificare, ma la carità non va pesata solo in numeri: il sorriso di un anziano non lo puoi quantificare.