Da quando ho memoria della mia fanciullezza (alla fine degli anni ’50 del secolo scorso!) sono appassionato di calcio, che ho praticato nelle partite tra amici e al massimo nella “nazionale” della mia classe alle medie o a Ragioneria. Da quando mi ricordo sono tifoso della Juventus, molto moderato: allo stadio l’ho vista due volte a Cesena e il clima tra le tifoserie mi ha consigliato di astenermi per il futuro. I miei idoli sono stati Sivori, Castano, poi Bettega, Platini, Del Piero, Pirlo in una lunga successione temporale. Ricordo che fino all’arrivo di Giuliano Sarti e poi di Zoff e infine di Buffon abbiamo avuto una lunga lista di portieri un po’ ballerini: Anzolin, Vavassori, Mattrel, Carmignani.

Ora Cristiano Ronaldo, il re di Instagram e di un impero economico al limite dell’incredibile, dopo tre anni se ne è andato, quasi alla chetichella, come un ospite indesiderato che lascia senza farsi notare troppo. “La vita va avanti” ha detto Massimiliano Allegri, un allenatore pragmatico che guarda al sodo, venerdì in conferenza stampa con un sorrisetto compiaciuto. Cristiano Ronaldo se n’era già andato da tre ore, dopo un veloce saluto alla squadra e una corsa all’aeroporto per volare a Lisbona col Gulfstream personale: era più di un anno che Cristiano, stanco di Juve, sognava questo giorno, che infine è giunto con un finale a sorpresa e all’apparenza persino romantico. Ronaldo torna sulla sponda di Manchester dove era diventato grande sotto la guida paterna di Alex Ferguson, un manager in cui calcio, ragazzi da far crescere e vita erano un tutt’uno. Con lo United vinse la prima Champions e il primo Pallone d’oro, dove giocava da ragazzo fortissimo e imperfetto, senza quella determinazione maniacale che lo avrebbe distinto negli anni a venire.

Inizialmente promesso al City, la svolta con il ritorno al Manchester United

È successo tutto in fretta, nella notte tra giovedì e venerdì: il mondo era andato a dormire convinto che sarebbe andato al City, ma all’ultimo c’è stata l’apertura improvvisa e clamorosa dello United, cui Cristiano s’era offerto invano anche nel giugno scorso. Perché all’Old Trafford abbiano cambiato idea, non si sa. “Non immaginavamo che lasciasse la Juve”, ha ammesso l’allenatore Solskjaer, che di Ronaldo fu compagno di squadra: “In pratica persi il posto per colpa sua”, ha scherzato.

La separazione consensuale con la Juventus è arrivata perché la voglia di Ronaldo di andarsene era pari a quella della società di lasciarlo partire: l’intoccabile Cristiano era stato declassato a “valore aggiunto”, lui che in ogni sistema planetario si sente sempre il sole. Allegri ha avuto fegato e personalità e la società ha gestito benissimo le ultime battute del rapporto, facendo chiaramente filtrare il messaggio che era Cristiano ad andarsene, e anche in maniera non proprio elegante, non la Juve a mandarlo via. Di sicuro Allegri, che in questo momento è la faccia della Juventus, non ha tradito alcun cenno di delusione: “Io non mi meraviglio di nulla. È una legge di vita: i campioni vanno, la Juve resta. È giusto che rimanga solo chi vuole farlo davvero”.

Ormai anche il calcio è un settore della finanza: fortunatamente abbiamo ancora negli occhi la vittoria della nazionale all’Europeo, un gruppo di ragazzi che hanno mostrato la loro faccia migliore, l’abbraccio e le lacrime di Vialli e Mancini sul terreno di Wembley. Ben tornato, calcio!

Tiziano Conti