Il primo maggio abbiamo rinnovato la festa del lavoro con un rito ancora partecipato, anche se ormai diverso dal passato, soprattutto per un motivo: il lavoro è cambiato.

È cambiato il modo di accedere al lavoro, sono cambiati i luoghi, le macchine, l’organizzazione del lavoro; non solo per lo smart working, ma anche per l’assetto tecnologico di una produzione di beni e di servizi che ha incluso conoscenze e competenze all’interno di processi che sembrano non richiedere la presenza di chi era ieri il protagonista. Il cambio di paradigma non è solo un necessario requisito per l’aggiornamento delle scienze economiche e sociali, ma l’espressione di una consapevolezza che non sembra far parte della vita e dell’impegno sociale di tante organizzazioni della vita economica e sociale, mentre – anche senza nominarlo in tal modo – è stato da sempre legato alla missione di una realtà condivisa, come la Chiesa cattolica, che non ha mai rinunciato a confrontarsi con le tante e variabili espressioni della vita economica e sociale. Il cambio di paradigma è dentro le tante espressioni scritte e stampate della dottrina sociale cristiana, con la manifestazione di una capacità di lettura critica e consapevole di ciò che la modernizzazione della società dall’Ottocento ai giorni nostri andava e va producendo, con effetti pesanti sulla vita quotidiana.

Perciò, anche per capire che cosa dobbiamo cambiare – perché finora non abbiamo avuto il coraggio o la volontà di farlo – dobbiamo tornare a rileggere i punti essenziali di quelle idee forti, il paradigma, di cui le encicliche sociali sono portatrici.

Lo stesso titolo della prima enciclica sociale di Leone XIII, Rerum Novarum, sembra annunciare il cambiamento che siamo chiamati a fare tutti, senza distinzione, nella vita cristiana e quindi nella vita economica, sociale e politica; dobbiamo fare attenzione alle “cose nuove” che accompagnano tanti momenti della nostra vita sociale, e di cui spesso non abbiamo nozione. Se non sono cose nuove, in quanto prodotte del mercato e dei consumi, sembra quasi che altre “cose” non siano rilevanti per noi e per la qualità della nostra vita. Ora invece, le cose della nostra vita sociale sembrano essere dominate dai rifiuti, anzi la nostra organizzazione economica e sociale sembra produrre in maniera crescente e diffusa veri e propri “scarti” sociali, di cui non ci riteniamo responsabili. Ma le parole di papa Francesco non lasciano spazio per la disattenzione a cui siamo abituati. Anzi il suo invito a fare il cambio di paradigma è esplicito e urgente. Una risposta cerca di darla il prossimo 12 giugno il circolo Acli di Faenza con una iniziativa pubblica – in presenza e in video call – proprio dedicata alle encicliche dei nostri Padri.

Everardo Minardi