Di recente, ho avuto la fortuna di visitare alla National Gallery di Londra, la mostra: Siena, the raise of painting, organizzata in collaborazione con il Metropolitan Museum of Arts di New York, sulla pittura senese del 1300. E’ incentrata su quattro giganti della pittura, Duccio di Boninsegna, Pietro e Ambrogio Lorenzetti, e Simone Martini (che operò anche ad Avignone, quando la città era sede del Papato), e sullo scultore, parimenti di grandissimo livello, Tino di Camaino, tutti di origine senese.

L’esposizione, ricchissima di opere, è frutto di uno sforzo notevolissimo di mostrare insieme opere che si trovano sparse nel mondo, in Europa e negli Stati Uniti. La prima metà del 300 rappresenta infatti la Golden Age della civiltà senese, caratterizzata, sia dall’esperienza politica fortemente innovativa, e in qualche modo democratica, del Governo dei Nove, sia della prosperità cittadina, dovuta anche alla grande vittoria riportata contro Firenze a Montaperti nel 1260 (cui si deve l’elezione della Madonna, la Maestà, a patrona cittadina), sia alla presenza dei sopra menzionati grandissimi artisti.

Ovviamente, come evidenzia Chiara Frugoni, la vita nella Siena del 1300 non era molto dissimile da quella delle altre città medievali, ed era caratterizzata da violenze indicibili, carestie (che spesso costringevano gli abitanti a fuggire, anche a Firenze), soprusi dei potenti verso i poveri, usure, corruzione e scandali, anche bancari. Siena all’epoca era un importantissimo centro spirituale e culturale perché era una delle tappe più importanti della via francigena, che permetteva ai pellegrini di viaggiare da Canterbury a Roma, passando per la Francia.

Successivamente, il declino della città determinò una dispersione delle opere d’arte senesi, che si accentuò con le guerre e le spoliazioni napoleoniche. La conquista di Siena da parte di Firenze ebbe delle rilevanti conseguenze, perché Firenze condannò la civiltà senese, a una vera e propria damnatio memoriae, una sorta di cancel culture, al fine di esaltare l’arte fiorentina e la sua (asserita, ma vedremo non vera) superiorità.

Siena del Trecento: un unicum nel panorama mondiale dell’arte

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Il più importante merito dell’esibizione è quello di dare una visione unitaria della cultura senese, la quale costituisce un unicum nel panorama dell’arte mondiale perché rappresenta l’umanità a 360 gradi, e pertanto sia nella sua dimensione umana e trascendente, sia in quella politica. Il 300 senese lascia a noi in primo luogo una straordinaria capacità di descrivere i sentimenti umani che vediamo spesso nel Bambin Gesù che rivolge gesti di affetto verso la Sua Mamma (ad esempio la Madonna del Metropolitan di Duccio o nel Polittico di Pieve ad Arezzo di Pietro Lorenzetti – che ricordiamo anche per l’Opera su Santa Umiltà degli Uffizi, recentemente esposta a Faenza -). Sentimenti umani e bellezza che troviamo anche in tutte le pitture relative alla vita di Gesù, che sono impregnate di realismo di cui Cimabue fu l’iniziatore.

Vediamo anche i profondi rapporti che l’Italia aveva con l’Oriente, risultanti dalle storie di San Nicola di Ambrogio Lorenzetti, nonché nei ricchi e preziosi tessuti orientali che fanno da sfondo a molte opere senesi (ad esempio nella Piccola Maestà di Ambrogio Lorenzetti o nella Madonna Rucellai di Duccio), e che già si ritrovano nella Maestà del Louvre di Cimabue, recentemente oggetto dell’importantissima mostra Revoir Cimabue. Fondamentale in questo ambito è il messaggio di San Francesco verso una pacifica convivenza con il mondo mussulmano. Ci lascia però anche una straordinaria eredità politica molto attuale, che rinveniamo negli affreschi del Buono e del Cattivo Governo di Ambrogio Lorenzetti e nella Maestà di Simone Martini a Siena.

Sulla giustizia e sul Buono e Cattivo governo

In essi assume un ruolo centrale una frase, con cui inizia il Libro della Sapienza, attribuito a Re Salomone “DILIGITE IUSTITIAM QUI IUDICATIS TERRAM”, che si trova sopra Justitia nel Buon Governo e in una tavola retta dal Bambin Gesù nella Maestà: è un appello rivolto a tutti coloro che sulla Terra hanno responsabilità di governo e di giustizia, a essere giusti, a perseguire la Giustizia.

Questa frase di così profondo significato, e così attuale anche oggi, viene inserita da Dante, nella Commedia, nel Canto XVIII del Paradiso, e mostra come la dimensione politica della pittura senese sia fondata sulla Weltanschaaung teologico – politica di Dante (che ricordiamo fu cacciato dai Fiorentini e morì esule ed è sepolto a Ravenna). Infatti, solo coloro che amano, conoscono e scelgono la giustizia nella sua più alta accezione, possono legittimamente governare e amministrare le leggi. Chi governa, secondo Dante, deve garantire la pace e la convivenza tra i governati, garantire la libertà, e amministrare il diritto conformemente alla giustizia divina. Se il Diritto e il Governo non perseguono questi scopi sono contrari a Giustizia e pertanto vanno mutati.

Questi basilari principi, in inglese rule of law, costituiscono il fondamento del moderno Stato di Diritto, che deve essere ispirato all’Equità e alla Giustizia, intesa in tutte le sue accezioni, anche sociale. Lo straordinario genio di Ambrogio Lorenzetti traduce in immagini il manifesto politico dantesco, creando figure immortali in primo luogo Pax. Vedendo la sua immagine sembra di sentire le parole di Pio XII il 24 agosto 1939: “Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra.”

Gli affreschi del Buon Governo sono poi ispirati a Justitia, Ben Comune e Concordia, che tiene in mano una pialla, simbolo delle mediazioni e delle ricuciture che ogni politico dovrebbe compiere, la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica (un embrione di democrazia ad alta intensità auspicata da Papa Francesco e dal Presidente Mattarella) e ne mostrano i suoi effetti ultimi: prosperità e Felicità – la dichiarazione di Indipendenza americana del 1776 parla di the Pursuit of Happiness -.

Al contrario, morte, violenza, devastazione e povertà regnano negli effetti del Cattivo Governo. I bambini e i deboli vengono uccisi (quale attualità in queste immagini, da Treblinka a Gaza), i Signori della Guerra prosperano, e la Giustizia è in una camicia di forza, soggiogata al Tiranno, icona di violenza ed ingiusto arricchimento.

Da ultimo, la mostra si sofferma sull’impatto della pittura senese in Europa, in Boemia, nelle Fiandre, in Borgogna, e in Francia e Inghilterra, attraverso il periodo francese di Simone Martini, e in particolare su un’opera fondamentale per l’identità culturale inglese, il Dittico Wilton di fine 300 (anch’esso nella National Gallery), che contiene un altro manifesto politico.

Questa straordinaria opera fu realizzata per Re Riccardo II (che fu deposto e ucciso nel 1400) da un anonimo genio. Essa sembra tradotta in parte in versi circa 200 anni dopo da Shakesperare nel Riccardo II. Stilisticamente appare indubbiamente ispirarsi anche alla pittura senese, tuttavia contiene un messaggio teologico – politico, opposto rispetto a quello di Dante e Lorenzetti. Infatti, nel Dittico Wilton, la Giustizia divina viene utilizzata per giustificare l’Assolutismo del Re, e quindi i suoi abusi e soprusi.

In Inghilterra, il conflitto tra la visione tendenzialmente democratica della Magna Charta, dantesca e della pittura senese, e quella assolutistica del Wilton Dyptich è destinato a risolversi solo alla fine del diciassettesimo secolo, dove, a prezzo di molto sangue, con la Glorious Revolution, lo Stato inglese assume la sua configurazione attuale, una Monarchia costituzionale democratica.

Grazie quindi alla National Gallery e al MET per l’organizzazione di questa straordinaria esposizione, da visitare insieme a quella di Cimabue al Louvre, che consente, attraverso la visione di opere di grande Bellezza, riflessioni molto profonde anche al fine di raggiungere la Camaldoli europea, più volte auspicata dal Card. Matteo Zuppi.

Paolo Castellari