Cos’hanno in comune un lavoratore precario che cambia contratto ogni sei mesi, una madre licenziata senza spiegazioni, e uno studente straniero che vive in Italia da anni ma ancora non può dirsi cittadino? La risposta sta nei cinque quesiti del referendum dell’8 e 9 giugno, che promettono di riportare al centro la questione della dignità del lavoro. Il 21 maggio scorso l’Anpi di Faenza ha acceso i riflettori su questo importante appuntamento elettorale con un incontro pubblico. Ospite principale Serena Savini, segretaria provinciale di Nidil Cgil, che ha spiegato i punti principali che stanno dietro le cinque schede che troveremo tra poche settimane nelle urne.

Un incontro che non si è limitato a illustrare tecnicismi giuridici, ma ha tracciato un percorso di senso: dalle trasformazioni degli ultimi trent’anni nel mercato del lavoro, fino alla speranza concreta di un cambiamento dal basso. Perché, come ha sottolineato Savini, «anche se il referendum non cambia tutto da un giorno all’altro, può cambiare la narrazione, e questo è il primo passo per cambiare davvero le cose». A introdurre l’incontro è stato Alberto Fuschini, presidente dell’Anpi faentina, che ha ricordato come il Jobs Act, introdotto nel 2015, abbia contribuito ad aumentare la precarietà nel mondo del lavoro, indebolendo le tutele storiche conquistate dai lavoratori.

“Da 30 anni c’è stata una progressiva precarizzazione del lavoro che ha reso i lavoratori più deboli e ricattabili”

Savini ha voluto subito contestualizzare l’iniziativa referendaria: «Non si possono capire questi quesiti senza prima comprendere il percorso che ha portato alla frammentazione attuale del mondo del lavoro. Negli ultimi trent’anni – ha spiegato – siamo passati dalla legge 300 dello Statuto dei Lavoratori a un processo progressivo di flessibilizzazione e precarizzazione, alimentato da leggi come la Biagi, la Fornero, il Jobs Act. E anche l’ultimo Governo, con interventi chirurgici, ci ha messo mano». Un cammino, ha evidenziato la relatrice, in linea con le direttive europee, che hanno promosso la flessibilità come motore di competitività. «Ma questa visione – ha sottolineato – non ha prodotto coesione sociale né miglioramento del welfare: al contrario, ha reso i lavoratori più deboli e ricattabili, con salari in calo e tutele sempre più scarse». In particolare, è l’Italia ad avere subito gli effetti più dirompenti, con salari sempre più bassi.

I 5 quesiti

I quesiti referendari, promossi dalla Cgil con una raccolta firme durata oltre un anno, rappresentano secondo Savini «un’occasione di democrazia diretta, per rimettere al centro la dignità del lavoro».

1. Reintegro in caso di licenziamento illegittimo

Il primo quesito tratta del reintegro in caso di licenziamento illegittimo. Con l’introduzione del Jobs Act, i lavoratori assunti dopo tale data, infatti,  hanno diritto solo  a un indennizzo economico in caso di licenziamento illegittimo, senza possibilità di reintegro. Si abrogherebbe la norma attuale, permettendo il reintegro nel posto di lavoro anche per questi lavoratori. «Questo rende il lavoratore esposto, perché il datore può “comprarsi” il diritto a licenziarlo. Il primo quesito mira a ristabilire il principio di giustizia e dignità».

2. Indennità per licenziamenti illegittimi nelle piccole imprese

Il secondo quesito riguarda sempre il licenziamento illegittimo ma nello specifico sulle tutele per chi lavora in piccole imprese. «Oggi chi lavora in aziende con meno di 15 dipendenti può ricevere al massimo sei mensilità di indennizzo. Una soglia inaccettabile, specie per lavoratori avanti con l’età o con famiglie a carico. Il secondo quesito chiede l’eliminazione di questo tetto».

3. Riduzione precariato: contratti a termine e causale obbligatoria

Il terzo quesito riguarda la limitazione ai contratti a termine. «Attualmente non è necessario indicare una causale per i contratti a tempo determinato inferiori a 12 mesi. Questo alimenta l’abuso dei contratti precari. Con il terzo quesito si vuole ripristinare l’obbligo di motivazione per tutti i contratti a termine, limitando l’abuso di contratti precari».

4. Sicurezza: responsabilità negli appalti per infortuni sul lavoro

Il quarto quesito riguarda la responsabilità negli appalti per la sicurezza. Con la vittoria del sì, Il committente sarebbe sempre corresponsabile, aumentando la tutela per i lavoratori. «Le tragedie sul lavoro colpiscono spesso lavoratori in appalto. Oggi solo il datore diretto è responsabile. Il quarto quesito vuole introdurre la responsabilità solidale anche per le aziende appaltatrici, incentivando maggiore attenzione alla sicurezza. Infatti spesso le gare di appalto vanno al ribasso, ma a scapito di cosa? Spesso della sicurezza sul lavoro».

5. Cittadinanza italiana: riduzione dei tempi di residenza (e perché è legata al tema del lavoro)

Il quinto quesito riguarda la riduzione dei tempi per ottenere la cittadinanza. Il periodo richiesto si ridurrebbe da 10 a 5 anni, facilitando l’integrazione dei cittadini stranieri stabilmente residenti in Italia. Non è questo l’unico requisito richiesto per ottenere la cittadinanza (non bisogna per esempio avere condanne a carico) ma il referendum interverrebbe su questo punto. «È già così in altri Paesi europei – ha detto Savini – e aiuterebbe a integrare persone che vivono, lavorano e contribuiscono alla nostra società, spesso con diritti ridotti. Si deve poi tenere presente che al termine dei 5 anni, la cittadinanza non è automatica: da lì iniziano le pratiche burocratiche che possono durare altri anni». Come si lega questo al tema del lavoro? “A oggi un cittadino straniero per stare in Italia deve avere un regolare permesso di soggiorno. Per averlo deve avere quindi un contatto di lavoro e questo fa sì che questi cittadini siano più ricattabili, magari accettano contratti peggiorativi perché hanno bisogno per il permesso di soggiorno. In questo modo c’è sempre un esercito di lavoratori che accetta qualsiasi condizione. E questo abbassa i diritti non solo per loro, ma per tutti”.

Il caso della Giuliani Arredamenti a Forlì, “Cambiare si può”

Savini ha portato anche un esempio concreto di come la precarietà colpisca duramente anche il nostro territorio. «A Forlì, nella Giuliani Arredamenti, 120 lavoratori in somministrazione – molti dei quali richiedenti asilo – erano impiegati da anni senza essere mai stabilizzati. Ufficialmente, solo 11 erano i dipendenti diretti. Dopo sedici giorni di sciopero coraggioso, 80 di loro sono stati assunti. È la prova – ha concluso – che l’unità e la mobilitazione possono ancora cambiare le cose».

L’incontro si è concluso con un appello a partecipare al voto. «Il referendum – ha ricordato la relatrice – non cambierà tutto da un giorno all’altro, ma potrà aprire una breccia, dare un segnale politico forte e rimettere al centro il tema del lavoro dignitoso. In un’epoca in cui l’astensionismo cresce, questa è una chiamata alla responsabilità civile e democratica».