Molti conoscono il principio della rana bollita. Se getti una rana in acqua bollente, questa salterà via subito. Ma se la immergi in acqua fredda e aumenti pian piano la temperatura, si adatterà senza accorgersi del pericolo, finendo per soccombere. L’immagine, coniata dal pensatore Noam Chomsky, è tragicamente attuale per descrivere il nostro tempo, specie al termine della surreale diretta televisiva tra Zelensky e Trump. Dopo decenni di pace, ci stiamo abituando a qualcosa che dovrebbe restare inaccettabile: il ritorno del nazionalismo, le barriere, i dazi, il riarmo, la guerra come opzione sempre meno estrema. Ogni giorno la temperatura dell’acqua sale, e rischiamo di non avere più la forza di reagire.

L’antidoto? In parte può essere dare voce a chi rifiuta questa assuefazione e rilanciare un’idea di Europa capace di promuovere dialogo, pace e partecipazione. La Chiesa in questo non si tira indietro. Come ha ricordato il cardinale Zuppi, dobbiamo «investire nel cantiere dell’Europa», che non sia solo un insieme di istituzioni distanti, ma una casa comune, radicata nella storia e madre di un futuro umano. Un’Europa che non smetta di credere nel dialogo come strumento per risolvere i conflitti. La valorizzazione di una «democrazia ad alta intensità» può essere un altro antidoto alla banalità diffusa dalle tecnocrazie anche attraverso algoritmi che orientano consensi e decisioni. Come sottolinea il vescovo Mario nel volume Chiesa e democrazia, l’Europa ha un urgente bisogno di coesione e di un ruolo internazionale all’altezza delle sfide globali. L’incontro del 21 marzo a Faenza con il professore Stefano Zamagni sarà l’occasione per approfondire questi temi.

Ognuno di noi può fare la sua parte. Di fronte all’assuefazione, dobbiamo scegliere la strada dello stupore e dell’azione. In un contesto in cui la partecipazione viene spesso delegata, dobbiamo riscoprire spazi di impegno dal basso, evitando il rischio di accontentarci di fare il bene da soli. Perché da soli non si va da nessuna parte. Oltre a manifestazioni simboliche, sarebbe utile anche la progettazione di una «Camaldoli europea». Un laboratorio di pensiero e azione capace di rimettere al centro il senso profondo di una comunità di popoli, radicata nei valori della pace, della giustizia e della solidarietà. Non sappiamo se basterà, ma intanto non ci abitueremo a quell’acqua sempre più bollente.

Samuele Marchi