La produzione di olio di girasole in Italia è in crescita, ma il fabbisogno interno resta superiore all’offerta, rendendo necessario il ricorso alle importazioni. Secondo ASSITOL, la filiera deve puntare su qualità, tracciabilità e innovazione per affrontare le sfide del futuro.
Cresce la produzione, ma il mercato richiede più olio
La produzione mondiale di semi di girasole ha raggiunto i 56 milioni di tonnellate, con Russia e Ucraina tra i principali produttori. In Italia, la coltivazione si concentra in Marche, Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna, con un raccolto di circa 293mila tonnellate di semi. La varietà più diffusa è il girasole altoleico, apprezzato per il suo elevato contenuto di acido oleico.
Nel 2023, l’industria italiana ha prodotto 164mila tonnellate di olio di girasole, un dato in crescita rispetto alla media nazionale di 150mila tonnellate, ma ancora insufficiente per coprire il fabbisogno.
Per il 2025, si stima che il consumo interno raggiungerà 791mila tonnellate, con un aumento del 2,3%.
Questo prodotto è fondamentale in diversi settori: dall’industria alimentare, dove è impiegato in panificazione e fritture, alla zootecnia, fino al comparto oleochimico ed energetico.
Tuttavia, per soddisfare la domanda, l’Italia deve ricorrere all’importazione, con un volume medio annuo di 600mila tonnellate di olio acquistate dall’estero.
Un modello di economia circolare e sostenibile
Le aziende del settore rappresentano un esempio di economia circolare. Carlo Tampieri, presidente del Gruppo Oli da Semi di ASSITOL, spiega: «Il nostro è un modello di sostenibilità: dagli scarti della produzione otteniamo energia ‘verde’, sia per l’autoconsumo sia per la rete elettrica esterna. Inoltre, l’acqua viene riutilizzata per il raffreddamento degli impianti, senza attingere a risorse primarie».
Questo approccio è in linea con la crescente attenzione dei consumatori, sempre più orientati verso prodotti di qualità, tracciabili e a basso impatto ambientale.
Il ruolo dell’intelligenza artificiale nella filiera
Un ulteriore impulso al settore potrebbe arrivare dall’intelligenza artificiale, applicata alla gestione delle coltivazioni e all’ottimizzazione della produzione.
«L’IA può aprirci nuove strade – osserva Tampieri – diventando un supporto prezioso per tutta la filiera, dal campo alla fabbrica. Grazie alla tecnologia, possiamo migliorare la gestione delle risorse, ridurre l’impatto ambientale e aumentare le rese».
L’uso dell’intelligenza artificiale potrebbe inoltre semplificare le pratiche burocratiche, agevolando la pianificazione colturale e una gestione più efficiente del suolo. Questo potrebbe contribuire a contrastare gli effetti del cambiamento climatico, che rappresenta una delle principali sfide per il settore agroalimentare.