A otto anni ha provato la tromba, poi il pianoforte, col passare del tempo, basso e chitarra sono diventati gli strumenti su cui il 18enne Vito Bassi di Russi al presente sta studiando musica. Dopo i primi anni trascorsi alla locale scuola di Musica Contarini per i primi accordi, eccolo scegliere maestri di grande passione, da (Gabriele) Cico Cicognani a Giancarlo Bianchetti, per fare un altro passo avanti. Lavora per migliorare le sue capacità di esecutore, anzi, di più. Parla di decadenza musicale: l’eccesso di musica commerciale allontana completamente l’artisticità della musica, portandola a essere solo un mercato e non un’arte quale originariamente è. In questo contesto gli piacerebbe dire la sua da protagonista. Noi lo abbiamo intervistato

Intervista a Vito Bassi

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Vito, qual è il tuo sogno?

Fare qualcosa nel mondo della musica in quanto musicista, cercando di portare qualcosa di nuovo. È il sogno di chiunque faccia questo mestiere: riuscire a dire la propria portando una personale visione di musica, riuscendo a essere ascoltati. Ci sono tanti campi che mi interessano però, a partire dall’organizzazione di eventi, rassegne e gestione di attività artistiche. Quest’estate, ad esempio, con alcuni amici organizzeremo un festival, aiutando quelli che, come me, sono artisti emergenti e cercano occasioni per farsi conoscere, senza venir truffati dagli organizzatori, andando a valorizzare la musica di qualità. Purtroppo siamo al punto che chiunque può fare musica, ma credo manchino la qualità, lo studio e l’impegno dietro tantissimi emergenti e non.

Che significa qualità?

Musica che non è stata prodotta unicamente per vendere, con dietro una ricerca e che non sia banale. Musica prodotta bene, che trasmetta un sentimento e delle emozioni. Non sto parlando di generi. Qualsiasi genere può far nascere musica di qualità (anche se in alcuni è più frequente che le canzoni diventino macchine da soldi).

Progetti tuoi?

Di recente ho registrato con i Jam Republic (vincitori del Faenza Rock, ndr) l’album in uscita a febbraio Drink Me! (si possono ascoltare su tutte le piattaforme digitali i due singoli Milky way e High spritz). Un album con impronta fusion, ma un sound moderno, che andando ad attingere da molti generi, va a creare uno stile unico. L’album uscirà sotto l’etichetta discografica Brutture Moderne. Un altro dei miei progetti è il Not To Mention Trio, un trio jazz/fusion formato con Marco Pierfederici (pianoforte) e Mattia Zoli (batteria). Progetto giovanissimo dato che lavoriamo insieme da pochi mesi, ma che dopo l’uscita del primo Ep, ha iniziato a dare i suoi primi frutti, grazie a concerti anche fuori regione, da Genova a Milano o Roma. L’Ep si chiama Not To Mention, e l’abbiamo voluto dedicare a un argomento attuale a cui noi siamo molto a contatto: la perdita dell’ascolto di musica non cantata, senza parole. Soprattutto nell’ultimo periodo, con la nascita e lo spopolamento di rap e trap, dove si riduce il valore dell’aspetto musicale, concentrandosi sul testo, ci si dimentica quanto, anche semplicemente ascoltando un suono, ci si possa emozionare.

Quindi meno parole, più note?

Non ho detto questo, non ritengo che la musica solo strumentale sia superiore a quella cantata, ma penso che provochi un’emozione diversa, non guidata da qualcuno che ti parla di qualcosa, ma da quello che quel suono ti riporta alla mente, rendendolo molto più soggettivo. Questo meccanismo della mente umana mi affascina e ritengo che perdere un aspetto così interessante di noi e della nostra cultura sia una grande perdita.

Qualità. Come sei giunto a questo pensiero? A questa esigenza?

È un argomento a cui penso da un po’ di tempo e che pian piano, conoscendo e parlando con insegnanti, musicisti, produttori e osservando la realtà che mi circonda, non composta solo da persone nel “mondo della musica”, ho notato in maniera sempre più evidente. Nell’ultimo anno ho iniziato a lavorare con Andrea Scardovi di Duna Studio, sia come artista in diversi progetti, sia come stagista. Grazie a lui ho avuto la possibilità di avere il punto di vista di un produttore con un enorme esperienza alle spalle, capace di farmi notare particolari cui non avevo mai fatto caso, e imparare molto sull’aspetto lavorativo e tecnico di tanti artisti con cui lui si è rapportato, iniziando a capire cosa determina un lavoro prodotto bene o no.

Genova, Milano, avete già fatto l’esperienza della grande città.

Sono state le prime esperienze in situazioni di quel tipo. Molto utile il confronto con musicisti formati. Un’altra cosa di cui sono stato molto colpito è quanto l’interesse alla musica, anche un po’ più di nicchia come il jazz, sia maggiore rispetto alle nostre zone, magari anche dovuto alla dimensione delle città e al grande ricircolo di gente estera…

Chi è Cico?

Cico è stato il punto di riferimento che ho voluto per imparare. Ritengo che in zona sia tra i migliori musicisti conosciuti. Infatti, per avere il suo notevole curriculum (Scott Henderson, Jack de Jhonette, Whitney Houston, Laura Pausini…), ha dovuto lavorare al proprio suono e al proprio stile in maniera maniacale, prendendo da tutti i più grandi bassisti del mondo. Ciò che ho cercato di prendere da lui è stato appunto il suono, di cui mi sono subito innamorato, affidandomi dopo poco tempo alla sua stessa liuteria (Laurus), e al suo modo di vedere e studiare i più grandi.

E Giancarlo Bianchetti?

Anche lui ha un curriculum infinito, è probabilmente il chitarrista più formidabile che abbia mai visto dal vivo per ora. Dopo aver fatto qualche lezione con lui da bambino (completamente ignaro del gigante che fosse), l’ho rincontrato dieci anni dopo a un mio concerto e, sapendo che abitava in zona, decisi di provare a tornarci. Mi ha aperto un mondo. Oltre all’apprendere dal suo modo di suonare, anche semplicemente facendomi ascoltare dei dischi, mi fa notare tanti particolari e sfumature che mi fanno approfondire sempre di più diversi aspetti di tanti stili.

Progetti a breve?

Ce ne sono altri a cui lavoro, dai generi più disparati, dal rap e cantautorato con artisti emergenti, al free jazz con il noto sassofonista Massimo Zaniboni e il trombettista Maurizio Piancastelli. Il mio obiettivo principale rimane comunque quello di approfondire sempre di più ogni aspetto della musica, studiando dai maestri di cui ti ho parlato e dai grandi della storia, cercando di farne derivare uno stile il più unico possibile, che sia mio e personale, per poi iniziare a riportarlo in dischi miei, in cui voglio rendermi il “protagonista del discorso”. Il primo disco spero di riuscire a terminarlo e registrarlo entro il 2025.

Giulio Donati