Le donne denunciano di più, ma la violenza di genere non cala. Secondo i dati parziali diffusi dal centro antiviolenza Sos Donna attivo da oltre 30 anni nel territorio dell’Unione della Romagna faentina, infatti, specie le giovani sono più consapevoli e meno disposte a restare in una relazione tossica. Per avere i dati definitivi bisognerà attendere la fine dell’anno, ma «sono al momento 141 le donne seguite da noi – spiega la neo eletta presidentessa di Sos Donna Silvia Dal Pane – contro le 129 del 2023. Non sono tutte nuove segnalazioni, tuttavia c’è stato un aumento rispetto al passato, che abbiamo notato già a partire dai mesi di marzo e aprile. Il numero di donne che si rivolgono a noi continua a crescere». Oltre alla violenza domestica, molto diffusa anche sul nostro territorio con una percentuale del 50 per cento, equamente divisa tra italiani e stranieri, ci sono violenze più subdole o meno conosciute, come la violenza verbale, quella economica, o i ricatti sessuali praticati sul luogo di lavoro.
La violenza economica

Si parla di violenza economica quando ad una donna viene negata l’indipendenza. Succede alle italiane, ad esempio dopo la nascita di un figlio. «Sono spesso giovani, che dopo l’arrivo di un bambino rinunciano al lavoro, incoraggiate dai mariti – spiega Dal Pane – che si trasformano poi in uomini violenti. In alcuni casi è il vizio del gioco a distruggere l’equilibrio di coppia. A volte accade che la donna lavora, ma il marito si gioca il suo intero stipendio». Se si osservano le straniere la violenza economica aumenta: i dati indicano infatti un 56 per cento contro il 48 per cento delle italiane. «E’ un fenomeno diffuso che rimane in ombra – precisa Dal Pane -. Le straniere non hanno titoli di studio riconosciuti o competenze che permettano di trovare lavoro. Questo le rende dipendenti economicamente dal partner, impedendo di lasciare la relazione violenta. Arrivano a denunciare solo quando la violenza diventa insostenibile, ma poi finiscono in case rifugio senza avere competenze. Per questo stiamo collaborando con aziende e associazioni del territorio per creare nuove opportunità di lavoro».
Violenza domestica anche tra fidanzati
Un altro dato sorprendente riguarda la violenza domestica. «Non c’è solo quella che avviene all’interno di coppie sposate o conviventi. Sono in aumento i casi di violenza nei giovani fidanzati. Più rara la violenza dei genitori sui figli, mentre registriamo violenze dei fratelli sulle sorelle e dei figli sui genitori, anche nel nostro territorio». Senza contare gli episodi di violenza sessuale. «C’è un sommerso all’interno della relazione. Di questo le donne si vergognano a parlare. Solo dopo mesi che vengono da noi ci raccontano che venivano obbligate ad avere rapporti. Quando c’è una relazione con botte e maltrattamenti, c’è sempre anche violenza sessuale. Succede anche a Faenza, non c’è bisogno di andare a Milano» precisa Dal Pane.
Partner maltrattanti: i segnali da non ignorare
Quali sono i segnali per riconoscere un partner potenzialmente violento? «Un classico da manuale è quando all’inizio va tutto bene. Poi, ad un certo punto, lui inizia con commenti sminuenti – spiega Silvia Dal Pane presidentessa di Sos Donna – “Non vali niente”, “Se non ci fossi io, come faresti?”. Si inizia sempre con lo sminuire. Poi i toni si alzano: “Stai zitta, non capisci niente”. Probabilmente ogni donna, almeno una volta nella vita si è sentita dire frasi del genere. Poi iniziano le manovre di isolamento: l’uomo cerca di allontanare la donna prima dalle amiche e poi dalla famiglia, passando attraverso il controllo su come si veste, chi frequenta, cosa fa. Da lì l’escalation, che prevede urla, prepotenze fino ad arrivare alla violenza fisica. Sminuire e isolare sono segnali da non ignorare, perché indicano una volontà di controllo e possesso che può evolvere in violenza fisica e psicologica».
I giovani: controllo, gelosia ossessiva, linguaggio violento e revenge porn
Capitolo a parte merita il mondo dei giovani, dove sono diffuse modalità di controllo e gelosia ossessiva da parte dei maschi sulle femmine, «senza contare – precisa la presidentessa di Sos Donna – che quando incontriamo i giovani nelle scuole, ammettono candidamente di considerare normale uno schiaffo. Il linguaggio nei confronti delle ragazze è estremamente aggressivo e offensivo e la donna è vista troppo spesso come preda sessuale. Ci sono stati riportati episodi di stupri in discoteca, o di ragazze costrette ad approcci sessuali. Pare che ai ragazzi non sia chiaro che quando una donna dice “no” è no». Oltre al reato di stalking diffusissimo tra i giovani e non solo, nel nostro territorio è in aumento il revenge porn. «Questo fenomeno – racconta – è devastante per le vittime. I social hanno enormi responsabilità, perché tutto è messo in piazza. Per le coppie giovani e giovanissime è consuetudine scambiarsi materiale intimo, ma quando la storia si conclude, il materiale finisce spesso in rete per vendetta. Da noi sono arrivate ragazze che hanno subito revenge porn e sono riuscite a trovare supporto nella famiglia e negli amici, ma il danno emotivo è profondo. Spesso foto e video hot vengono condivisi anche sul posto di lavoro. Cerchiamo di far capire alle vittime che non è la fine del mondo: siamo nel 2024 e da queste situazioni si esce a testa alta. Ci rivolgiamo però soprattutto ai ragazzi: se arrivano foto intime, fermate questa catena».
La violenza sul lavoro
Capitolo a parte merita la violenza sul lavoro. Sembra incredibile, ma anche nel faentino ci sono stati casi di donne che hanno subito violenza in ufficio o in fabbrica. «Il nostro dato non è completo, perché le donne si rivolgono prima ai sindacati che a noi, ma i casi che sono arrivati sono stati emblematici – racconta Dal Pane -. La violenza proviene da superiori che abusano del loro potere per richiedere prestazioni sessuali alle dipendenti. In caso di rifiuto, scatta la vendetta: maldicenze, mobbing, danni alla reputazione, carriere bloccate. In alcuni casi le aziende sono intervenute, schierandosi dalla parte della donna, per esempio aumentando il suo livello professionale, oppure spostandola di sede, ma senza prendere provvedimenti contro il responsabile. Questo dimostra che c’è ancora molta strada da fare in termini di sensibilizzazione».
Barbara Fichera