Non ci sono solo i danni materiali. Tre alluvioni in un anno e mezzo metterebbero a dura prova l’equilibrio psicologico di chiunque: case e attività distrutte, in alcuni casi per tre volte, con la difficile decisione sul come e dove ricostruire. Un senso di precarietà e impotenza che mina le proprie certezze e spezza la fiducia nella natura da un lato e nelle istituzioni dall’altro. Con il terrore che tutta possa ricapitare alla prima pioggia. Ne abbiamo parlato con Giuseppe Angelone, psicologo dell’Ausl Romagna e responsabile della struttura semplice interdipartimentale di psicologia della salute e comunità, con funzione di coordinamento per la psicologia dell’emergenza climatica nel Distretto sanitario di Faenza.

L’intervista a Giuseppe Angelone, psicologo Ausl Romagna

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Dottor Angelone, come vi siete mossi per questa alluvione?

L’Ausl Romagna, insieme a Regione e Protezione Civile, ha organizzato dal 19 settembre un servizio di supporto psicologico per l’emergenza climatica. La Regione ha inviato psicoterapeuti formati nella gestione delle emergenze.

Che tipo di supporto offrite?

Le tipologie di intervento sono state tre: accoglienza e supporto telefonico, interventi clinico-ambulatoriali e azioni di psicologia di prossimità. Dal 20 settembre è stata attivata la linea telefonica di psicologia dell’emergenza (334- 6265083) dal lunedì alla domenica, dalle 11 alle 15, con la possibilità di accesso prioritario ambulatoriale per richieste e necessità di sostegno psicologico in presenza. In questo caso i professionisti, oltre a fornire ascolto e supporto, valutano e analizzano i bisogni per accompagnare l’utente nella rete dei servizi sociali e sanitari e ricevere così l’intervento appropriato.

Come incontrate le persone?

Individualmente, in gruppo (come nel caso di soccorritori e operatori) oppure nel nucleo familiare, a seconda del tipo di richieste, delle circostanze e del bisogno.

C’è un flusso spontaneo oppure vi avvicinate voi?

A differenza delle alluvioni di maggio, in cui ci venivano rivolte molte richieste spontanee, in questa nuova emergenza le persone tendono meno a rivolgersi direttamente ai servizi. Accolgono le disponibilità di sostegno che vengono loro offerte in contesti di prossimità. Questo sembra essere attribuibile al ripetersi di una tragedia che ha colpito per la seconda o terza volta in poco tempo. Il malessere è più profondo, intenso, e tende a tradursi meno in un’esplicita o attiva richiesta di aiuto. Rivolgere l’attenzione ai bisogni primari e al ripristino della casa, piuttosto che al malessere interno è una necessità, ma diventa una strategia per non lasciarsi sopraffare dallo sconforto.

Che situazione avete trovato?

Angoscia, paura che possa accadere di nuovo, sconforto e difficoltà a cogliere una prospettiva futura di normalizzazione. Tali vissuti possono alternarsi o accompagnarsi a rabbia e bisogno di avere risposte e rassicurazioni. Tuttavia, per l’impressione che ho, c’è una rabbia composta e dignitosa, espressa in modo civile e mirata nei contenuti delle richieste, senza eccessi.

Per molti si tratta della seconda o della terza alluvione, è possibile superare un trauma di questo tipo?

Direi che è senz’altro possibile. L’emergenza climatica e prima ancora la pandemia, ci confermano che l’essere umano ha delle capacità di adattamento e di resilienza notevoli nel far fronte alle avversità e nel saper riorganizzare in modo funzionale la propria vita e le proprie abitudini. Tuttavia, è presto per fare analisi e previsioni circa l’impatto emotivo e gli effetti psicologici a medio e lungo termine di questa nuova alluvione. Vi è un profondo malessere nei cittadini colpiti, composto da vissuti depressivi e ansiosi, e da sentimenti di rivendicazione e di sfiducia verso le istituzioni. Sembra però essersi rotto anche il legame di fiducia nella relazione con l’ambiente e con una natura, vissuta come ostile e imprevedibile. E poi ci si sente esposti e impotenti di fronte alla realistica minaccia del ripetersi di eventi climatici (eco-ansia). Nelle persone colpite si intuisce la coesistenza di due sentimenti conflittuali e antitetici. Da un lato un senso permanente di allarme o di allerta, che induce a fare qualcosa per contrastare o prevenire il pericolo (quindi a dover essere “attivi”). Contemporaneamente però le persone vivono un senso di rassegnazione e impotenza con l’idea, di non poter fare nulla, se non affidarsi alla speranza e alla sorte.
Tale condizione crea un “corto-circuito” interno col rischio che il malessere non si limiti a una condizione post traumatica di tipo reattivo (che si risolve nel corso dei mesi), ma che possa evolvere in forme più croniche di disagio emozionale. Per questo cercheremo di mantenere e implementare interventi di prevenzione primaria e secondaria, cioè di individuare le situazioni di disagio il più precocemente possibile per poter intervenire.

Di cosa hanno bisogno le persone?

Di sicurezza, di percepire la presenza della comunità e delle istituzioni, di non dover sempre avere paura, di “normalità”. Nel medio termine e nei prossimi mesi attiveremo interventi di psicologia di comunità che possano da un lato sostenere individualmente utenti con quadri di disagio psicologico correlati agli eventi climatici, e dall’altro programmeremo interventi psico-educativi o di gruppo (avviati già lo scorso anno nei servizi di psicologia all’interno delle Case di comunità) che, oltre a fornire strumenti di gestione dell’ansia e dello stress, aiutino a recuperare un senso di padronanza rispetto alla sensazione di rassegnazione e di impotenza. Gli interventi di gruppo e di comunità aiutano, tra l’altro, la creazione di reti informali e il senso di appartenenza a una rete di relazioni da cui si può ricevere e dare aiuto, contrastando la solitudine. Ricordiamoci che il dramma della precedente alluvione ha posto in risalto l’importanza determinante delle risorse della collettività in termini di resilienza, coesione, auto-organizzazione e solidarietà sociale.

Se ne esce solo insieme, insomma?

Il supporto sociale percepito è una risorsa e aumenta le capacità di adattarsi e fronteggiare il problema. L’aver vissuto insieme un dramma che ha destabilizzato sicurezze e punti di riferimento, favorisce la possibilità di utilizzare le esperienze passate per far fronte insieme ai rischi futuri e la capacità degli individui di partecipare e di incidere sul processo decisionale. La maggiore risorsa di una comunità è la comunità stessa.

Barbara Fichera