L’intervista allo psichiatra Stefano Lassi sul delicato tema dell’abuso spirituale.

L’accompagnamento spirituale non è “dire ciò che è giusto o meno ma aiutare una persona a far luce su cosa è meglio per se stessa. L’essenziale è non sostituirsi alla sua coscienza”. Coordinate chiare e regole definite: questo serve nell’accompagnamento spirituale secondo Stefano Lassi, psichiatra e docente di Antropologia all’Università Gregoriana di Roma e alla Facoltà teologica dell’Italia Centrale, che è stato protagonista, la scorsa settimana, del secondo appuntamento del ciclo “Libertà, coscienza e crescita spirituale” organizzato dalla scuola di formazione teologica San Pier Crisologo e dal Servizio diocesano Tutela minori. Lo abbiamo intervistato sull’abuso spirituale, il tema al centro della sua relazione.

Dottor Lassi, cosa si intende quando si parla di abuso spirituale?

Come tutti gli abusi, l’abuso spirituale è un abuso di potere. Alla radice di tutti gli abusi c’è uno sbilanciamento legato all’assunzione di un ruolo di potere di una persona rispetto a un’altra. In questo caso si parla di un abuso rispetto alla coscienza, l’ambito più intimo, più sacro, all’interno del quale chi opera deve farlo nel massimo rispetto. Chi non rispetta regole di ingaggio nel rapporto, nella relazione, soprattutto laddove ci sia un ruolo di sbilanciamento, ad esempio appunto nel caso di un accompagnatore spirituale, può fare molti danni. Perché? Si parla di foro esterno e foto interno. Quest’ultima è la parte nella quale la persona sviluppa la coscienza, quel potere di conoscere se stessi, di credere, di sentire e di poi professare quello che crede nei confronti del mondo.

Quanti danni può fare un abuso di coscienza?

È forse il più grave in assoluto, se ci pensiamo, perché è un abuso di coscienza che spinge la persona a sviluppare dei meccanismi per cui dipende da un’altra nella definizione di ciò che è giusto, di ciò che è sbagliato, di ciò che è buono, di ciò che non è buono.
Chi abusa entra in questa coscienza e lo fa con delle tecniche,. Può farlo anche con una buona intenzione, ma finisce per mettere in discussione la libertà della persona di esprimere quello che sente. La Gaudium et Spes, di papa Paolo VI, dice che la coscienza è il luogo più sacro dove si realizza il rapporto fra l’uomo e Dio.

Si può riconoscere un abuso spirituale? Ci sono dei segni nel rapporto di accompagnamento spirituale?

Ci sono segni legati all’abusatore: il narcisismo è uno degli elementi più importanti, un atteggiamento per il quale il narcisista raggiunge la propria soddisfazione manipolando gli altri. L’altro segno riguarda, invece, la vittima dell’abuso: ci sono persone più vulnerabili, e questo dipende dal vissuto, di sofferenza, di debolezza, di fragilità, cioè di vulnerabilità della vittima. E poi ci sono dei segni che sono legati all’interazione fra queste due figure. Ad esempio la negligenza: chi vuole guidare una persona e abusare nell’ambito spirituale, incomincia a non dare una risposta adeguata al bisogno spirituale della persona. Lo dà in modo stereotipato, semplice, insufficiente. Per cui la vittima per avere delle risposte deve per forza andare a chiedere all’accompagnatore, che diventa necessario: si crea una dipendenza. È qui che l’abusatore può introdurre elementi di manipolazione per cui “ti so dire io cosa è giusto, la strada da seguire”. E la persona è portata a fidarsi, completamente. Quando c’è questa perdita di senso critico, di confronto con gli altri, la manipolazione si trasforma in un’azione di dominio. E così la persona, per seguire il suo accompagnamento, in qualche modo acconsentirà a quello che l’abusatore chiede, anche avvertendo che non è giusto, ma sapendo che non può fare altro perché non ha gli strumenti per ribellarsi.

Un sano percorso di accompagnamento spirituale, che caratteristiche dovrebbe avere?

Io in realtà non lo so cosa ci vuole per fare un percorso di accompagnamento spirituale perché sono uno psichiatra, e gli psichiatri non devono fare gli accompagnatori spirituali. So, però, che non bisogna mai creare delle ambiguità o dei meccanismi di mancata deontologia. Occorre distanza nel confronto. Ci devono essere delle regole di ingaggio, chiamiamole così, ben chiare.

E non bisogna derogare da quelle.

Esatto, quindi bisogna avere dei codici di comportamento ben definiti per cui non ci incontriamo né per amicizia né perché io sono il tuo guru. Io sono qui perché ti accompagno nel percorso spirituale e faccio quello che posso, cioè ti aiuto a capire quello che risuona dentro di te. Noi diciamo che un buon accompagnamento spirituale non si fa in due, ma si fa in tre: la persona, l’accompagnatore e lo Spirito Santo. Se lasci spazio allo Spirito Santo dai alla persona che segui la possibilità di accogliere questo dono e poi di viverlo liberamente, e lo aiuti in questo percorso di presa di coscienza.
Non bisogna confondere, ovviamente, i fori interni con i fori esterni: cioè, il bravo accompagnatore non è, ad esempio, il parroco che ha i propri parrocchiani del consiglio pastorale con i quali lavora e poi li confessa o fa loro la direzione spirituale. Perché questo confonde o permette poi, anche involontariamente, al parroco di utilizzare quello che conosce nel foro interno per condizionare il foro esterno. Non ci deve essere confusione con l’ambito psicologico: fare accompagnamento spirituale non è fare psicologia. Viceversa, lo psicologo deve non fare proselitismo o entrare in questi argomenti se non nel rispetto della coscienza.