Dal Vangelo secondo Marco (Mc 7,31-37)

In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli.

Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti».

E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti».

Il commento di Luciano di Buò, diacono

L’affermazione al termine del vangelo di questa domenica: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e parlare i muti» fa riferimento alla promessa del profeta Isaia riportata nella prima lettura. È Gesù che adempie questa promessa donando la salvezza a tutti gli uomini perché tutti sono figli di Dio. L’evangelista Marco lo mette in evidenza con la guarigione di un sordomuto, che Gesù compie in terra pagana. La dinamica del miracolo di guarigione è una catechesi per tutti noi. La persona malata non va da Gesù da sola ma viene accompagnata. Quelli che lo accompagnano pregano Gesù di imporgli le mani. La malattia è l’immagine dell’umanità malata, immersa nel peccato e nel male. Per guarire ci si deve allontanare dalla vita che si conduce. La sordità è l’incapacità ad ascoltare, ad aprire le nostre orecchie alle parole del vangelo. Chi è lontano da Cristo non si rende conto della sua condizione perché, come il sordo, non ascoltando la Parola compie quello che vede fare da tutti. Si lascia guidare dalle scelte del mondo, dal pensiero dominante, che non sono in accordo coi valori evangelici ma con interessi personali ed egoistici. Chi ha fede e ha le orecchie aperte al vangelo si rende conto di chi è nella necessità e lo può aiutare ad uscire dalla sua condizione di morte facendosi suo compagno di percorso per condurlo a Gesù. Questo significa che, come battezzati, abbiamo il dovere di aiutare i fratelli che sono “sordi”, che non hanno mai ascoltato la parola del Signore, parola di vita. Per svolgere questo importante servizio d’amore verso il fratello è importante pregare perché la preghiera mantiene in contatto con il Signore consentendo di vedere il fratello come lo vede Lui. Il brano del vangelo mette in evidenza che Gesù prima di operare la guarigione «prese in disparte (il sordomuto), lontano dalla folla». Questo ci insegna che per cambiare vita dobbiamo allontanarci dal modo di pensare della gente comune, dal pensiero dominante condizionato dalla mondanità e non aperto alla trascendenza. Se non si abbandona la vita che si conduce e non si accoglie Cristo e il suo vangelo non si guarisce. Infine per compiere il miracolo Gesù pronuncia una parola aramaica: “effatà”, che significa “apriti”. È un invito che rivolgea ciascuno di noi. Ci chiede di non chiuderci in noi stessi, di non essere insensibili ai bisogni altrui, di aprire il nostro cuore alla parola che annuncia la nostra salvezza, che alimenta la nostra speranza. Lasciamoci guarire dalla nostra sordità. Apriamoci a Dio, prendiamo coscienza del nostro bisogno d’infinito. Apriamoci all’annuncio dell’amore incondizionato di Dio, alla riconciliazione con noi stessi e con i fratelli. E allora, come il sordomuto, al quale “si sciolse il nodo della sua lingua” anche noi saremo in grado di parlare secondo verità e trasmettere speranza.