Con grande fatica e senza aiuti la maggior parte delle imprese del territorio dell’Unione della Romagna faentina ce l’ha fatta.  Secondo uno studio condotto da Confesercenti sulla propria base associativa, 86 imprese su un campione di 100 hanno ripreso la propria attività, l’11% non hai mai chiuso nemmeno durante il periodo di prima emergenza, a fronte di un 3% che invece non ha più riaperto. Per l’88% delle aziende le spese per la ripartenza sono state sostenute con risorse proprie, il 24% è dovuto ricorrere a prestiti bancari, mentre il 12 % si è appoggiato ad aiuti familiari e donazioni. La ricerca è stata condotta attraverso un questionario on-line, che ha indagato il tipo di danno riportato, le difficoltà riscontrate e una valutazione sulla fiducia in prospettiva. “Le nostre aziende si sono fatte forza con risorse personali, che erano già state intaccate dalle chiusure dovute all’emergenza Covid – spiega Chiara Venturi direttrice Confesercenti Faenza -. Al momento non sono arrivati nemmeno un briciolo dei ristori promessi. Tra i nostri associati serpeggia una certa delusione per le risorse che avrebbero dovuto ricevere e che, purtroppo, presumiamo non arriveranno mai al 100% come era stato promesso”.  Aver riaperto le saracinesche non è però garanzia di fatturato, anzi. Il 65% degli intervistati afferma che i ricavi degli ultimi 12 mesi sono di molto inferiori rispetto ai livelli precedenti all’alluvione, soprattutto per la riduzione del potere d’acquisto di famiglie e clienti (86%), mentre solo il 35% dichiara di essere tornato ai livelli del 2022.  “Per questo ad oggi, – prosegue Venturi – non si può parlare di ritorno alla normalità”. Secondo lo studio, il 92% delle aziende ha subito danni strutturali all’immobile, a mezzi o macchinari, al magazzino e alle merci stoccate, oltre a danni indiretti, come mancati incassi, strade chiuse, personale a sua volta danneggiato dall’alluvione e così via. Tra i fattori che più hanno ostacolato la ripresa dell’attività, al primo posto figura il ripristino dei locali (44%), seguito a ruota dalle difficoltà legate alla viabilità o ad un’area commerciale desertificata (41%) e infine locali inagibili e da ristrutturare (38%). “A Faenza – aggiunge la direttrice di Confesercenti – c’è una forte percezione di degrado del centro storico”. Secondo l’87% degli intervistati infatti, il centro città ha perso il suo appeal, perché sono tutt’ora molti i locali sfitti con vetrine spaccate e sporche (52%), mentre altri si sono trasferiti (35%). Alla domanda se c’è fiducia sul futuro della propria attività, il 68% delle aziende intervistate ha risposto di sì, percentuale che scende al 55% se si parla del futuro dell’economia nel territorio. Qui pesa la collina, pesantemente danneggiata dalle frane. I no (45%) ritengono che ci vorranno molte risorse e parecchi anni (67%), mentre il 56% ritiene che alla base ci siano i mancati aiuti promessi dalle istituzioni. Insomma “il morale non è affatto sotto le scarpe” precisa Venturi. Per quanto riguarda i numeri dei rimborsi, le domande di aziende dell’Unione ammesse al contributo straordinario delle Camere di commercio, sono state 657. Di queste 53 hanno ricevuto un contributo medio di 1.430 euro. “Chiediamo politiche per favorire il ripopolamento delle aree commerciali – conclude Venturi – attraverso leve fiscali sia per i proprietari degli immobili, sia per le attività che si vogliono insediare, ordinanze per il decoro delle vetrine, incentivi al ripristino dei locali, l’estensione di queste politiche ai quartieri più colpiti dall’alluvione o con viabilità compromessa a lungo come il Borgo, via Lapi, via Renaccio, il Borgotto, e l’Orto Bertoni. E ancora: sostegno alle nuove attività commerciali e incentivazioni per i trasferimenti, agevolare il rientro delle piccole imprese nei centri commerciali naturali, come interventi su Imu, Tari, occupazione suolo pubblico, imposta di pubblicità e politiche di contrasto alla desertificazione demografica della collina”.

Barbara Fichera