Vinificare qui? Impossibile, ci pensano le 26 cantine che ci conferiscono vino. Con i nostri volumi servirebbe uno stabilimento grande come Forlì». Quelli del gruppo Caviro non sono numeri comuni. Diversi giornalisti se ne sono resi conto alla visita organizzata a metà marzo dall’Associazione stampa agroalimentare e ambientale (Arga) allo stabilimento di Forlì e agli impianti di Faenza (una cittadella di 40 ettari). Ma di quali volumi parliamo? Caviro oggi è il più grande gruppo vitivinicolo italiano, che tratta quasi un decimo (633mila tonnellate) di tutta l’uva vinificata nel nostro Paese. Le uve arrivano da 11mila soci, riuniti in 26 cantine tra Veneto, Emilia-Romagna, Marche, Toscana, Abruzzo, Puglia e Sicilia, con 37 mila ettari di vigneti. Un volume di 175 milioni di litri di vino l’anno, pari all’intera produzione annuale della Toscana, su 223 milioni di bottiglie, brick e bag. «L’intera grande distribuzione organizzata italiana vende ogni anno circa 600 milioni di litri di vino. Di questi, un terzo sono nostri. Abbiamo sette milioni di famiglie italiane come consumatori» ha spiegato il direttore generale di Caviro Giampaolo Bassetti.

Tavernello tra i 10 vini più venduti al mondo


Sono diversi i marchi gestiti da Caviro, che nella Gdo ha 14 referenze in brick e centinaia su vetro, per un totale di 600 diversi vini prodotti (incluse le private label, i vini a nome del supermercato). Ma quello più conosciuto è di certo il Tavernello, unico vino italiano nella classifica dei dieci più venduti al mondo. Un vino da pasto dai numeri così alti da aver “salvato” un’intera famiglia di vitigni: «Se in Romagna si coltiva ancora il Trebbiano è grazie a Tavernello» ha sottolineato lapidario Bassetti. Basti pensare che dallo stabilimento di Forlì escono 77mila brick l’ora. «Siamo partiti per primi in Italia sperimentando il vino in brick, quando ancora si poteva vendere solo su vetro. Cambiate le norme, vendemmo cinque milioni di pezzi il primo anno, numeri incomparabili per un nuovo prodotto».
Il gruppo è controllato da una cooperativa di secondo grado, il cui scopo sociale è quello di valorizzare al meglio l’uva delle cantine associate. Ed è una valorizzazione a tutto tondo.

Dai sottoprodotti di filiera a prodotti nobili

Quella di Caviro, infatti, è una vera economia circolare, che dai sottoprodotti della filiera (vinaccia, vinaccioli, feccia, raspi) ricava prodotti nobili (alcoli, acido tartarico, enocianina polifenoli, mosti e altri estratti), mentre dagli scarti vegetali (sfalci, sovvalli e potature del verde pubblico) recupera gas e produce fertilizzanti (137mila tonnellate l’anno), senza scartare nulla. L’energia prodotta dalle biomasse delle filiere agroalimentari viene usata per il 45% all’interno del gruppo, mentre il restante 55 viene immesso in rete per la vendita. Altra energia geotermica alimenta un intero quartiere di Faenza (e una scuderia di Formula 1), mentre il biometano prodotto è destinato all’autotrazione. Tra energia elettrica, termica e biocarburanti parliamo di 160 Gigawattora di energia. Anche le ceneri del termovalorizzatore di Faenza vengono riciclate, utilizzandole per fare asfalto. «In questo modo vengono scartate solo parte delle ceneri, buttando via lo 0,9 per cento» ha spiegato il direttore. Un’attenzione per l’ambiente che va di pari passo con il valore economico. Le attività ambientali di Caviro extra ormai pesano per un terzo sul fatturato del gruppo (110-130 milioni di euro su 400 milioni circa) e la tendenza è in crescita. L’intero gruppo oggi conta 585 dipendenti e ricavi per 423 milioni di euro l’anno. Una progressione esponenziale dagli anni ’60: «Al tempo la base sociale aveva due dilemmi. Come far uscire il vino dalla propria provincia e come smaltire le vinacce» ha spiegato Bassetti. La risposta è stata brillante a entrambe le questioni. «E a differenza di altri settori, qui tutto, da buona cooperativa, viene trasferito ai soci. Agli agricoltori interessano poco le favole, il tasso di poesia è basso».

Michelangelo Bucci